Con l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, l’Italia compie un discutibile passo indietro sulla strada della trasparenza e della legalità. Una decisione che, se già desta perplessità a livello nazionale, assume contorni ancor più inquietanti nelle realtà dei piccoli comuni, come Ugento e tante altre province italiane, dove il confine tra pubblico interesse e questioni personali è spesso labile, e dove la vigilanza sui comportamenti amministrativi è affidata a poche risorse e a molti compromessi.
Da oggi, scenari che fino a ieri avrebbero fatto scattare inchieste, se non manette, diventano semplici “decisioni amministrative”. Facciamo qualche esempio fantasioso, calandoci nella realtà di un qualsiasi piccolo comune di provincia:
È importante chiarire che, pur non essendo più perseguibili penalmente, questi atteggiamenti rimangono gravemente censurabili dal punto di vista politico ed etico. Chiunque utilizzi soldi pubblici per avvantaggiare amici e familiari, pilotando assunzioni, bandi o assegnazioni dirette, dovrebbe quantomeno provare vergogna.
Le istituzioni sono chiamate a rappresentare e tutelare gli interessi della collettività, non quelli personali o di cerchie ristrette. Eppure, con questa riforma, si è scelto di depotenziare uno degli strumenti che garantivano trasparenza e giustizia, lasciando che l’etica – sempre più debole – diventi l’unico argine a queste derive.
Questa decisione cancella ogni speranza per chi crede ancora nel merito. Per chi pensa che lavorando duramente, rispettando le regole e dimostrando competenza si possa ottenere un incarico pubblico o vincere un appalto. In realtà, si spalanca la porta a favoritismi, nepotismi e gestione arbitraria delle risorse pubbliche, schiacciando chi cerca di competere in modo onesto e trasparente.
Ugento, come tanti piccoli comuni, potrebbe diventare un caso scuola di questo nuovo corso. Qui, come altrove, sono le relazioni personali e le dinamiche familiari a intrecciarsi con le scelte amministrative. Dall’affidamento diretto di servizi a società riconducibili a parenti, alle commissioni “costruite ad hoc” per garantire assunzioni di amici e conoscenti, fino ai bandi ritagliati su misura per gli “amici degli amici”.
Con l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, si toglie alle istituzioni di controllo uno degli strumenti principali per vigilare su queste pratiche. E si consegna di fatto il potere nelle mani di chi può decidere senza temere conseguenze legali.
Questa è la vera sconfitta: il tradimento di chi crede ancora in un sistema equo, dove le regole valgono per tutti e dove lavorare bene è l’unico criterio per emergere. Si sancisce il dominio delle relazioni personali, dell’opportunismo e della gestione arbitraria delle risorse pubbliche.
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