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Editoriali

Arriva la bella stagione e tornano le solite vecchie stagioni

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Arriva la bella stagione e tornano le solite vecchie stagioni.

Il settore del turismo è la locomotiva che porta avanti il nostro territorio, da poco anche insignito con la ricercatissima “bandiera blu”, tanto voluta e pagata profumatamente dalla nostra amministrazione.

Un lavoro eccellente che lascia il tempo che trova.

In questo modo, il nostro progetto rischia di diventare un’arma a doppio taglio. Risultato: mettere sotto pressione la nostra marina agli occhi del turista, il quale pretenderà determinati servizi.

Già quarant’anni fa eravamo eccellenza. Ugento, infatti, era capofila per il turismo nel format villaggio turistico.

Basta pensare, per esempio, alla piccola zona fontanelle. Le strutture li presenti, da sole, portano un fatturato, arrotondato per difetto, di almeno 150 mln di euro l’anno. (CLICCA QUI: FONTE DATI)

Soldi che, però, non sembrano portare un benessere sociale omogeneo.

Quali erano le condizioni a valle tra le varie strutture e amministrazione: le multinazionali avrebbero mutilato il territorio e la sua natura a patto che, le stesse, avessero dato lavoro a centinaia di famiglie ugentine, assumendo personale indigeno.

Dopo tutto questo tempo cosa abbiamo ottenuto? Sempre meno personale ugentino nelle strutture, nonostante la scuola di formazione alberghiera presente sul territorio e un grandissimo numero di turisti.

L’evidenza è una, i proventi derivati dall’impoverimento della nostra terra vanno nelle tasche di poche multinazionali. A noi il peso delle strutture a loro la leggerezza della moneta.

L’11 marzo scorso il nostro sindaco, durante la visita dei consiglieri regionali Casili e Barone, evidenziava come le strutture, non solo quelle dei villaggi ma in generale quelle ricettive e ristorative, avessero avuto molta difficoltà a trovare lavoratori stagionali la scorsa estate; incolpando un po’ il reddito di cittadinanza un po’ la difficile situazione globale, ma è davvero questo il focus della questione? Dove sta il problema?

Sembra essere arrivato il tempo di bilanci che non sembrano essere positivi.

  • Colpevoli le amministrazioni; che non differenziano e non esigono che il settore trainante porti benessere ai propri cittadini senza che questi siano messi in condizioni lavorative al limite dell’assurdo?
  • Colpevoli i genitori; che, nell’era del tecnicismo, non si sono accorti che quelli come me, che hanno studiato materie umanistiche, non hanno una “spendibilità” della propria preparazione a livello economico territoriale e avrebbero invece dovuto mandarci all’alberghiero, come, infatti, suggerisce la sociologia dello spazio ugentino?
  • Colpevoli i giovani; fannulloni, cattivi e viziati, sempre di fronte agli schermi, nichilisti ed estranei al mondo reale che non vogliono abbassarsi a fare gavette non pagate o stage non retribuiti?

Non sarei capace di definire chi sia il cattivo e lascio a voi lettori solo le mie perplessità. Uno spunto per riflettere e interpretare il nostro presente.

Si dice che quando tutti sono colpevoli non lo è nessuno, ed è proprio questo il punto.

Abbiamo, tutti, lasciato che il tempo impolveri le nostre realtà senza mai fare della sana autocritica, senza perbenismi o argomentazioni di facciata. La realtà è che siamo tutti colpevoli.

Le cose possono cambiare sempre, l’importante è prenderne atto e ammettere le proprie colpe, prima di scagliare la prima pietra.

Se questo è il nostro modo di affrontare la questione però non meravigliamoci del fatto che: siamo un paese che è in costante discesa demografica; i nostri giovani brillanti vanno via e a malincuore lasciano la nostra terra; siamo terzi nella provincia per tasse pagate pro capite (810 euro, fonte quotidiano) ma non siamo nemmeno in grado di far vedere le nostre ricchezze ai turisti. Però abbiamo ottenuto la bandiera blu!

Siamo davvero sicuri di volere un futuro così?

Non posseggo risposte, vorrei capire perché prostituirci, noi e il nostro territorio, quando la ruota dovrebbe girare al contrario.

Vi lascio con le parole dello storico Alessandro Barbero; il quale ci racconta di come l’idea di istruzione si sia capovolta nel tempo. una riflessione storica riguardo le opinioni. Di come, a volte, le società si perdano tra i meandri del tempo.

«Ovviamente, il problema era: chi andava a scuola? Per molto tempo a scuola ci andavano in pochi […] si dava però per scontato che andare a scuola, andare al liceo, intendo dire, fare le superiori, era però INDISPENSABILE per avere un ruolo poi dirigenziale nella vita. […] Poi, lo sappiamo tutti cosa è successo. È successo che si è detto: in un grande movimento democratico […] Non si deve più avere un mondo in cui solo l’elite, quelli che comandano, possiedono la cultura. Tutti devono averla. Tutti i ragazzi devono avere anni e anni, durante i quali studiano e imparano, anziché dover lavorare come è sempre successo ai loro padri e ai loro nonni. […] E poi si è cominciato a dire – e lì è il ritorno indietro – mentre prima quando a scuola ci andavano i figli dei padroni, tutti sapevano che andare a scuola era importantissimo per fare di te una persona più forte, con più possibilità, quando han cominciato ad andarci anche i figli degli operai si è cominciato a dire “ma appunto, in fondo in fondo siamo sicuri che tutto questo serve?”. E adesso siamo arrivati al punto che questa grande conquista per cui si era detto: “tutti devono avere davanti tanti anni durante i quali studiano senza chiedersi a cosa mi servirà questo specificamente” non va più bene. Si è cominciato a pensare che per mandare la gente a scuola, però, la cosa poi deve essere spendibile sul mercato del lavoro. E si è arrivati adesso all’assurdità che si è tornati a dire ai ragazzi, come ai loro nonni analfabeti: “anche se avete soltanto sedici o diciassette anni o diciott’anni, però, un po’ di lavoro lo dovete fare. Che è questo lusso di passare quegli anni solo a studiare a scuola? No, no: alternanza scuola lavoro!”»

Alessandro Barbieri, storico.

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Azzurra torre san giovanni

Propenso alla scrittura sin da bambino, coltivata nel tempo grazie al percorso formativo fortemente orientato verso materie letterarie, oggi è diventata una passione, ampliata da competenze e strategie comunicative, che vorrei trasformare in lavoro, con l'auspicio che essa possa permettermi di non lavorare nemmeno un giorno della mia vita

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