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Politica

Ugento e la sua “destra sociale”

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Ripercorrendo gli ultimi trent’anni di storia amministrativa della nostra comunità, eccetto qualche momento, Ugento, Gemini e marine sono sempre state “di massima” amministrate da compagini politiche sostanzialmente di “destra”. Si potrebbe addirittura asserire che la “sinistra ugentina”, per usare un linguaggio calcistico, storicamente non abbia quasi mai toccato palla. Mi ha incuriosito non poco l’editoriale di Marcello Veneziani – Dove nasce la destra sociale? che apre con una domanda provocatoria: “ma che bestia misteriosa è la destra sociale?”.

L’opinione pubblica mainstream tende ad accostare, quasi sempre istintivamente ed altrettanto erroneamente, la destra al fascismo o addirittura al nazional-socialismo, o comunque a periodi storici disastrosi per l’umanità. Allo stesso modo, si tende ad associare semplicisticamente Karl Marx al comunismo, al socialismo e/o dittature di vario tipo, alcune ancora vive in alcune parti del mondo. Non è questa la sede per un’analisi politologica, non vi è il tempo e soprattutto lo spazio che meriterebbero, non volendo peraltro cadere in inutili partigianerie. Ciò su cui è opportuno disquisire, perché forse potrebbe essere utile a molti “saperne qualcosa in più” rispetto al limite di deleterie posizioni ideologiche ormai fuori dal tempo, dalla storia e dalla realtà, inerisce la dottrina sociale della destra, di cui si fanno le analisi ma si ignora la sua storia e i suoi presupposti. Un padre e un fondamento umanistico prima che filosofico di quella dottrina sociale, per Veneziani è rintracciabile nel filosofo Giovanni Gentile, ucciso dai partigiani dei GAP di ispirazione comunista. Il suo testamento – Genesi e struttura della società – dell’estate del 1943, non deve far cadere in quell’inganno ideologico che innesca la sirena allarmante dello starnazzare “al filosofo del fascismo alla base della cosiddetta destra sociale”. Peraltro è condivisibile che siano in molti, soprattutto a destra, a non aver compreso il pensiero del filosofo siciliano, al pari di tanti altri che, sia a sinistra nulla hanno capito dei quaderni dal carcere di Antonio Gramsci, e sia al “centro” hanno tradito gli insegnamenti del popolarismo di Don Luigi Sturzo e della dottrina sociale della Chiesa.

Gentile è l’intellettuale italiano che da ministro della pubblica istruzione e da impresario di cultura, fu il protagonista indiscusso della riforma della scuola, dell’Enciclopedia italiana Treccani, della Scuola Normale di Pisa, dell’Accademia d’Italia e dell’Istituto di studi mediterranei ed orientali. Il suo lascito è un “saggio di filosofia pratica” che necessita di maggiore considerazione: “All’umanesimo della cultura che fu pure una tappa gloriosa della liberazione dell’uomo, succede oggi o succederà domani l’umanesimo del lavoro”. Il lavoro non è solo produzione e fatica ma attività etica e riscatto spirituale perché “l’uomo reale, che conta, è l’uomo che lavora, e secondo il suo lavoro vale quello che vale. Il vero valore è il lavoro”. Se nella definizione dello Stato rivendica la continuità col pensiero liberale e conservatore, è con l’umanesimo del lavoro, che riprende l’eredità del socialismo, del sindacalismo e della dottrina sociale della Chiesa. La sintesi gentiliana è lo Stato nazionale del lavoro. Da qui la sua grandezza filosofica e intellettuale. 

L’umanesimo del lavoro è la pietra miliare della nostra Costituzione. Già nel primo articolo ne risalta l’eredità, disseminata tra forze socialiste e comuniste, cattolico-popolari e sindacali, oltre che nell’allora Movimento sociale italiano. Fondamentale il disvelarsi del pensiero comunitario: la comunità non accomuna solo i viventi ma chi ci ha preceduto e chi ci seguirà. Il filo della “tradizione”. La filosofia ne è la sua coscienza: “in fondo all’Io c’è un Noi; che è la comunità a cui egli appartiene, e che è la base della sua spirituale esistenza, e parla per sua bocca, sente col suo cuore, pensa col suo cervello. La comunità è presente come legge interna all’individuo”. Nella sua visione sociale è centrale ed insostituibile la famiglia perché l’uomo è famiglia, lavora per sé ma anche per i suoi figli; l’istinto alla generazione muta in vocazione e si perpetua tramite l’eredità. Ed è lì che sta la radice del senso dell’immortalità in quanto la famiglia è il “perenne vivaio morale dell’umanità”. Le sue idee, il suo pensiero percorrono “l’oltre”. Il tutto e tutti. 

Riprendendo ancora Veneziani, quell’opera di ieri ci aspetta al largo di domani. Quelli che sognano una comunità migliore, noi ugentini e geminiani dobbiamo farci trovare pronti.

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