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Attualità

Il diporto e l’omicidio nautico

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Nel Canto XX dell’Inferno, vi è un passo in cui Dante Alighieri scrive: «Suso in Italia bella giace un laco, a piè de l’Alpe che serra Lamagna sovra Tiralli, c’ha nome Benaco». Egli si riferisce al bellissimo Lago di Garda. Luogo da cui vogliamo partire per immergerci nel nostro mare.
Nel giugno 2021, sul Lago di Garda, Umberto Garzarella, insieme alla fidanzata Greta, rimase vittima di un incidente nautico, causato da un tedesco che si era messo alla guida di un motoscafo in stato di ebrezza. La coppia sul proprio gozzo venne travolta dall’imbarcazione che navigava ad una velocità quattro volte superiore a quella consentita. Si sono susseguiti altri avvenimenti tragici.
Non ultimo quello dell’agosto scorso: due imbarcazioni si scontrano; su una di queste lo skipper è risultato positivo all’alcooltest. Muore una turistica americana.
Abbiamo fortuna di disporre di diversi chilometri di costa, un mare straordinario in un contesto costiero alquanto suggestivo. Si caratterizza per un asset economico, fonte di grande sviluppo e crescita territoriale, il diporto nautico. Insieme di attività nautiche che si svolgono per scopi sportivi e ricreativi senza fine di lucro, secondo la definizione del codice della nautica da diporto (decreto
legislativo n. 171 del 2005). La norma definisce le unità da diporto quella categoria in cui rientrano i natanti, le imbarcazioni da diporto e le navi da diporto. Distinguibili in base alla lunghezza ed alla registrazione o meno nei rispettivi registri. Comunemente i natanti sono quelle “barche” di lunghezza non superiore ai 10 metri, non iscritte nel RID – Registro imbarcazioni da diporto.
Si è soliti affrontare questioni attinenti alla nautica da diporto soprattutto durante il periodo estivo.
Con la forte affluenza degli utenti del mare e di bagnanti e diportisti in particolare. Nelle nostre marine, se ci sono molti natanti e qualche imbarcazione, piuttosto rare sono le navi da diporto. Per cause evidentemente tecniche, il nostro porticciolo non è adeguato a rispondere alle richieste “dei naviganti”, ben che meno alle esigenze degli yacht di un certo livello. Forse un motivo su cui
riflettere nell’ottica della strategia di sviluppo costiero che si vorrebbe/dovrebbe improntare per il futuro? Basti pensare che in Italia, posizionata all’ottavo posto per numero di barche possedute, nei registri risultano iscritte 100.000 unità da diporto (imbarcazioni e navi da diporto, iscritte rispettivamente nel Registro imbarcazioni da diporto – RID e Registro navi da diporto – RND), per
un totale di 600.000 unità circolanti.
Nei giorni scorsi anche la Camera dei deputati ha dato il suo via libera con 261 voti a favore all’introduzione del reato di “omicidio nautico” nel vigente codice penale. Un nuovo reato che va ad affiancarsi a quello di “omicidio stradale”, introdotto nel 2016. Un iter legislativo che nasce proprio a seguito della drammatica vicenda di Umberto e Greta.
La nuova legge ha previsto la reclusione da due a sette anni in caso di morte della vittima; da otto a dodici anni con l’aggravante della guida in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psicofisica.
La norma ha esteso la disciplina vigente alle ipotesi di omicidio (comma 1) e di lesioni gravi o gravissime (comma 2) conseguenti a violazioni delle norme sulla navigazione marittima o interna.
Ad essere modificato è stato l’articolo 589-bis c.p., nel quale viene introdotto il reato di “omicidio colposo nautico”, volto a punire, con la reclusione da 2 a 7 anni, chiunque, ponendosi alla guida di un’unità da diporto, cagioni per colpa la morte di una persona avendo agito in violazione delle norme sulla disciplina della navigazione marittima o interna.
A similitudine dell’omicidio stradale, sono state previste alcune aggravanti per la commissione del fatto: stato di ebbrezza superiore a 1,5 g/l o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope (reclusione da 8 a 12 anni); stato di ebbrezza compreso tra 0,8 g/l e 1,5 g/l se il conducente dell’imbarcazione esercita attività di trasporto di cose o persone (reclusione da 8 a 12 anni); stato
di ebbrezza compreso tra 0,8 g/l e 1,5 g/l (reclusione da 5 a 10 anni); non essere in possesso della patente nautica, ovvero se la stessa è stata sospesa o revocata (nei casi in cui questa è richiesta) oppure con un’unità da diporto di proprietà dell’autore del fatto sprovvista di assicurazione obbligatoria. È stato previsto anche un aumento della pena in caso di fuga del conducente
successiva all’omicidio. Vi è infatti uno specifico riferimento all’omicidio nautico.
In mare, come sulla strada, la raccomandazione non può che essere quella della massima prudenza e del rispetto delle regole, evitando soprattutto comportamenti rischiosi in un ambiente, quale quello marino, che si presenta molto più complesso rispetto a quello terrestre. Il mare, come del resto la natura, merita rispetto perché è assolutamente imprevedibile. L’inasprimento delle
pene è utile ma non sufficiente perché non potrà mai colmare quel vuoto di ignoranza, imprudenza, incoscienza ed irresponsabilità, su cui occorre lavorare garantendo informazione e formazione dell’utenza.

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