Ambiente e Territorio
TAP sotto accusa: in 8 a processo
Nell’aula del tribunale di Lecce, davanti al giudice monocratico Chiara Panico, si consuma l’ultimo atto di una storia che ha segnato il Salento. Il pubblico ministero Alessandro Prontera ha chiesto tre anni di reclusione per otto dirigenti del progetto Trans Adriatic Pipeline, accusati di aver avvelenato le acque e violentato gli ulivi durante la costruzione del grande gasdotto che porta il gas dell’Azerbaijan nelle nostre case.
Ma facciamo un passo indietro. Il TAP non è un semplice tubo che attraversa mari e monti. È un serpente d’acciaio lungo 878 chilometri che parte dall’Azerbaijan – terra di gas e petrolio – attraversa Grecia e Albania, e si tuffa nel nostro Adriatico per riemergere proprio lì, tra gli ulivi millenari del Salento. Un’opera titanica, dicono i sostenitori, capace di portare nelle nostre case 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Un mostro che divora la terra, ribattono gli oppositori.
E qui viene il bello – o il brutto, dipende dai punti di vista. Durante i lavori di costruzione del microtunnel, sostiene la Procura, qualcuno si è preso qualche libertà di troppo. Le falde acquifere, vero tesoro nascosto del Salento, sono state inquinate. Gli ulivi, patriarchi verdi che da secoli presidiano quella terra rossa, sono stati espiantati senza i dovuti permessi. Come se in casa d’altri si potesse fare quel che si vuole.
L’inquinamento delle falde, vedete, non è una bazzecola da ambientalisti della domenica. È come avvelenare il sangue della terra. In Salento, dove l’acqua è più preziosa dell’oro, le falde sono l’ultima linea di difesa contro la sete. Contaminarle significa condannare a morte lenta un territorio già provato dalla xylella e dalla siccità.
Il processo, che ha già visto avvicendarsi sei giudici – come in una commedia all’italiana – riprenderà il 10 febbraio davanti al giudice Chiara Panico. Ma la vera sentenza, quella che conta davvero, l’ha già scritta la terra del Salento. Una terra che chiede giustizia, non solo per sé, ma per tutti quei luoghi d’Italia dove il progresso avanza come un bulldozer, incurante delle radici che spezza.
E mentre i legali affilano le armi per la prossima udienza, resta una domanda sospesa nell’aria calda di Puglia: era proprio necessario tutto questo? La risposta, forse, soffia tra le foglie degli ulivi centenari che ancora resistono, testimoni silenziosi di un’altra ferita inferta al nostro Belpaese.