Editoriali
Ugento, chi non si allinea, scompare

Dopo le due, anzi tre, serate di festa che hanno animato Ugento, tra il Premio Zeus e la Notte della Cultura, una riflessione sorge inevitabile e amara: in questa città chi non si allinea è destinato a scomparire. Non in senso metaforico o suggestivo, ma attraverso pratiche di marginalizzazione che ricordano logiche di potere arcaiche, fatte di silenzi imposti e di cancellazioni volute, al punto da far sembrare quasi riduttive le parabole della mafia dei pascoli di Corleone.
L’esempio più emblematico resta quello del professor Salvatore Zecca, figura che oggi non è più tra noi ma che la città dovrebbe ricordare con gratitudine e orgoglio. Non fu lui a ritrovare la celebre statua di Zeus, ma fu lui a comprenderne subito il valore, a difenderla dall’oblio e soprattutto a trasformarla in un simbolo identitario per Ugento e per l’intero Salento. A lui si deve l’idea di costruire attorno a quella scoperta un percorso culturale e scientifico, un museo che portava il suo nome e che si configurava come luogo vivo di conoscenza e memoria. Quel museo non era soltanto un contenitore di reperti, ma il frutto della sua visione e del suo impegno: fare in modo che il passato non fosse relegato alla polvere degli scantinati, ma diventasse patrimonio condiviso.
Eppure, tutto questo, con la sua morte e con l’avanzare di nuove stagioni politiche, è stato ridotto a cenere. Il suo nome, che avrebbe dovuto campeggiare in ogni manifestazione culturale della città, è stato sistematicamente espunto, cancellato, rimosso da un potere che non perdona chi non si piega, chi non appartiene alla schiera dei fedeli. E la verità è che Zecca paga scelte non sue: paga il reato di lesa maestà ascritto ai suoi discendenti, i quali, affrontando la loro professione con libertà e dignità, hanno scelto di non piegarsi al sistema e di non baciare la mano del ras locale. Ed è proprio per questo che, come spesso accade in simili contesti, la vendetta non si ferma al presente ma scende nel personale, colpendo ciò che di più caro possa esserci: la memoria di un padre. Una memoria che avrebbe dovuto essere difesa e onorata da una comunità grata, e che invece è stata piegata e sacrificata sull’altare di un potere meschino.
Lo stesso metodo lo si è potuto osservare, in maniera più sottile ma non meno eloquente, nel trattamento riservato all’assessora Chiara Congedi. Durante le serate estive, tra palco e riflettori, è capitato addirittura che un gruppo musicale ringraziasse pubblicamente l’organizzazione, nominando con precisione Vincenzo Scorrano, ma “dimenticando” clamorosamente il nome di chi, per ruolo istituzionale e per impegno, ha la responsabilità diretta degli eventi: proprio l’assessora Congedi. Solo in un secondo momento, e con un evidente imbarazzo, il gruppo ha tentato di correggere l’errore, citandola di sfuggita, quasi come una nota a margine. Un episodio che, preso da solo, potrebbe sembrare una svista, ma che in realtà rientra in una dinamica più ampia. Clamoroso è il fatto che sia stata trattata per tutta l’estate come una presenza marginale, una “macchietta”, mai realmente valorizzata né come amministratrice né come donna. Eppure dietro ogni evento, ogni manifestazione, ogni momento di aggregazione cittadina c’è il suo lavoro, c’è la sua dedizione, c’è una responsabilità che non può essere negata o ridotta a comparsa. Il fatto che la sua dignità umana e politica venga sistematicamente ignorata è il segno di un clima che preferisce umiliare piuttosto che riconoscere, ridimensionare piuttosto che valorizzare.
Si tratta, ancora una volta, dello stesso filo rosso: a Ugento il potere non si fonda sul rispetto, ma sulla paura. Gli elettori, se interrogati con sincerità, non mostrano fiducia né ammirazione nei confronti dell’amministrazione, ma timore. Un timore che è stato alimentato e consolidato per oltre vent’anni e che continua a essere lo strumento con cui pochi riescono a mantenere il controllo della vita pubblica. La paura è diventata la moneta di scambio, il linguaggio sottinteso con cui si governa, e chi non accetta di parlare quella lingua viene relegato ai margini, cancellato, dimenticato.
La cosa più grave è che oggi qualcuno si illude di poter ereditare lo scettro di questo potere, immaginando di proseguire lo stesso metodo, convinto che basti perpetuare il silenzio, la cancellazione e l’esclusione per conservare il consenso. Ma si tratta di un’illusione fragile, che si regge soltanto sul servilismo di pochi, di quei discepoli pronti a inchinarsi finché conviene, salvo poi voltare le spalle e cercare un nuovo padrone non appena un’altra figura politica sarà in grado di offrire loro una scodella di riso più sostanziosa.
Ed è qui che si gioca il futuro di Ugento. Continuare a essere una città dove chi non si allinea scompare, oppure scegliere di spezzare questo circolo vizioso e restituire dignità e memoria a chi l’ha meritata. Ricordare Salvatore Zecca non come un fantasma da cancellare, ma come un uomo che ha dato a Ugento una parte della sua identità. Rispettare Chiara Congedi non come un nome da citare a margine, ma come un’amministratrice che lavora ogni giorno per la comunità. Perché una comunità non cresce sulla paura, né sull’oblio forzato, ma sul riconoscimento del merito, sull’onestà della memoria e sulla capacità di guardare in faccia la verità, anche quando è scomoda.