Ambiente e Territorio
Lo stato di emergenza non basta, ci vuole una legge speciale

Ogni estate, puntuali come l’afa e l’odore acre del fumo, arrivano gli incendi. E con essi, i soliti titoli. “Dichiarato lo stato di emergenza.” “Massima allerta incendi.” “Scatta il divieto di accendere fuochi.” Parole, parole, parole. E poi? Poi, nulla.
Siamo stufi. Il Salento brucia ogni anno e ogni anno assistiamo alla stessa liturgia politica: un’ordinanza firmata, qualche post sui social, qualche appello generico al senso civico. Ma sul campo – il campo vero, quello annerito, distrutto, senza più vita – non cambia nulla.
Non un controllo in più. Non una multa in più. Non un mezzo in più. Non un euro in più.
E soprattutto: non una mentalità diversa.
La verità è che lo “stato di emergenza” è diventato una foglia di fico. Un modo per dimostrare di “fare qualcosa”, senza in realtà cambiare nulla. Serve una legge speciale, non una firma in calce a un decreto che si dimentica al primo temporale. Una legge che dica, una volta per tutte, che chi dà fuoco al nostro Salento merita di marcire in galera. Sì, senza giri di parole.
Ma non basta la repressione. Serve prevenzione vera. E strutturata.
Una legge speciale dovrebbe prevedere:
- Un censimento puntuale delle aree percorse dal fuoco, con vincoli ambientali e paesaggistici severissimi: divieto assoluto di edificazione per almeno 20 anni, senza eccezioni.
- Divieto di pascolo su quelle aree per un periodo congruo, pena la sospensione della licenza e l’arresto per i trasgressori.
- Un piano di informazione e formazione diretto alle fasce più anziane della popolazione, ancora legate all’uso sconsiderato del fuoco per la “pulizia dei campi”.
- Un fondo dedicato ai Comuni, per attivare squadre locali di sorveglianza ambientale, con telecamere mobili, droni, pattugliamenti quotidiani e campagne mirate.
E soprattutto: controlli. Tanti, quotidiani, capillari. Se chi commette un reato non viene mai colto sul fatto, la legge resta una minaccia vuota.
Gli attivisti, le associazioni, i cittadini più sensibili avanzano proposte simili da anni. Ma il loro grido si spegne, come i nostri boschi, nell’indifferenza colpevole della politica. Una politica paralizzata, timorosa di perdere voti in quella zona grigia del consenso clientelare.
Così, ogni estate, brucia un pezzo di Salento. E con lui, un pezzo della nostra dignità.
Ora basta. Ora ci vuole una risposta civile. Una mobilitazione trasversale. Un movimento dal basso che imponga alla politica di agire. Perché quello che resta da difendere è poco, ma è ancora nostro. E non possiamo più permetterci di lasciarlo andare in fumo.