Editoriali
Daniele Carbone come Chico Forti: in gioco la credibilità di una nazione

C’è un filo rosso che unisce le storie di Chico Forti e Daniele Carbone: quello di cittadini italiani detenuti all’estero, la cui condizione diventa banco di prova per la credibilità e l’autorevolezza del nostro Paese.
Solo pochi mesi fa, l’Italia salutava con orgoglio il ritorno di Forti dopo 24 anni di carcere negli Stati Uniti, grazie a un lungo lavoro diplomatico e a un forte impegno politico. Oggi, un’altra vicenda, meno mediatica ma non meno importante, riporta l’attenzione sulla responsabilità dello Stato nel difendere la dignità dei propri cittadini.
Daniele Carbone, 34 anni, di Ugento, è detenuto nel carcere di La Valletta, a Malta, dove sconta una condanna a 15 anni e 6 mesi per traffico internazionale di droga. Ma oggi non è la giustizia penale al centro del dibattito: è la salute di un uomo che soffre e che, da mesi, attende cure adeguate che l’isola non sembra garantirgli.
I suoi legali hanno inviato più volte richieste formali per consentirgli visite mediche indipendenti e un intervento chirurgico necessario, ma le autorità maltesi hanno risposto solo in modo frammentario e insufficiente. Nel frattempo, il dolore e le infezioni aumentano, e con essi il rischio di conseguenze gravi e irreversibili.
A differenza del caso Forti, in questa vicenda non si chiede la libertà, ma una cosa molto più elementare: il diritto di essere curato.
È un principio universale, sancito dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che dovrebbe valere per chiunque, anche per chi ha sbagliato.
E qui entra in gioco la questione più grande. In un momento in cui il governo Meloni rivendica il proprio peso politico in Europa e nel mondo, sottolineando i risultati della sua politica estera e l’immagine di un’Italia “forte, sovrana e rispettata”, fatti come questo dovrebbero accendere tutte le sirene a Palazzo Chigi e alla Farnesina.
Perché la sovranità non si misura nei vertici internazionali, ma nella capacità di uno Stato di proteggere i propri cittadini, ovunque si trovino. E una nazione davvero autorevole non dovrebbe neanche aver bisogno di “alzare la voce” con una piccola isola come Malta: dovrebbe bastare la forza della sua presenza diplomatica per garantire il rispetto dei diritti fondamentali.
La vicenda di Daniele Carbone chiama in causa la politica, la diplomazia e la coscienza civile. Le colpe, se ci sono, le stabiliranno i tribunali. Ma la vita e la dignità di un uomo non possono essere sacrificate sull’altare della burocrazia o dell’indifferenza.
Ugento guarda a questa storia con preoccupazione e umanità, chiedendo soltanto che a Daniele venga garantito ciò che spetta a ogni essere umano: il diritto alla cura e alla speranza.
Perché la forza di una nazione non si misura dalle sue dichiarazioni, ma da come sa proteggere i più deboli, anche quando nessuno guarda.