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Da padroni a casa in affitto

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Quella di oggi al campo sportivo di Ugento non è stata una partita qualunque. Non solo perché si è trattato del primo derby in Eccellenza tra Taurisano e Ugento, ma perché quanto accaduto resterà a lungo nella memoria, forse più per ciò che è avvenuto fuori dal campo che non per i novanta minuti di gioco.

Le due squadre arrivavano a questo appuntamento con sentimenti profondamente diversi. L’Ugento portava ancora addosso le ferite fresche di una retrocessione dalla Serie D, una retrocessione che molti considerano ingiusta e immeritata, frutto di una stagione difficile che non ha reso onore al valore reale della squadra. Dall’altra parte il Taurisano cavalcava l’onda dell’entusiasmo: neopromosso, reduce da un campionato di Promozione dominato, con l’orgoglio e l’adrenalina di chi approda a una nuova categoria con la convinzione di poter dire la sua.

Eppure, queste due anime contrapposte non si sono viste davvero sul terreno di gioco. La partita, infatti, è stata bloccata, segnata dalle emozioni, dal peso dell’attesa, dalla tensione che si respirava sugli spalti e fuori. È stata una gara “bruttina”, tattica e contratta, che si è sbloccata solo nella seconda parte della ripresa, quando l’Ugento ha trovato le due reti decisive che hanno fissato il risultato sul 2-0 finale.

Un successo importante, certo, ma che passa in secondo piano rispetto a quanto accaduto oltre il perimetro del rettangolo verde.

La vera notizia di oggi è la protesta dei tifosi giallorossi. Gli ultras dell’Ugento, infatti, non sono entrati nello stadio. Non per mancanza di passione, non per indifferenza, ma per scelta. Per dignità. Perché a loro dire la Questura li ha trattati come “ospiti” nel loro stesso campo.

Il paradosso nasce da una situazione ben precisa: il Taurisano, il cui stadio è in ristrutturazione, gioca le partite casalinghe al campo di Ugento, grazie a una concessione gratuita del Comune. Questo significa che, formalmente, la squadra “di casa” oggi era il Taurisano, mentre i tifosi giallorossi sono stati relegati al settore ospiti, come se fossero estranei. E lì non sono voluti entrare. Hanno preferito fermarsi nel parcheggio, rimanere fuori, alzare i cori e sostenere la squadra dalla distanza.

Questa decisione stride fortemente con quanto vissuto dall’Ugento lo scorso anno. Per disputare le proprie gare interne a Gallipoli, la società giallorossa dovette affrontare spese enormi, migliaia di euro che hanno pesato sulle casse e messo in difficoltà la gestione. Oggi, invece, al Taurisano viene concessa gratuitamente la possibilità di giocare a Ugento. Due pesi e due misure che fanno riflettere e che non possono lasciare indifferenti chi ama questi colori.

In più, c’era un elemento che avrebbe potuto evitare lo scontro: il rapporto di amicizia tra le due tifoserie. Gli ultras di Ugento e quelli di Taurisano, legati da anni di rispetto reciproco, avevano trovato un’intesa per permettere ai giallorossi di occupare il loro storico settore, la tribuna che da sempre li ospita. Ma per i tifosi la Questura ha scelto diversamente, imponendo una decisione calata dall’alto che ha spezzato ogni buon senso.

La reazione dei tifosi dell’Ugento è stata dura ma coerente. Non hanno protestato soltanto contro la Questura e la Lega, viste come responsabili dirette dell’accaduto. Hanno puntato il dito anche contro il Comune di Ugento, accusato di non averli rappresentati, di non aver difeso la loro dignità, di non aver alzato la voce per tutelare chi vive lo stadio come una seconda casa.

Non è la prima volta che i tifosi giallorossi prendono posizione contro l’amministrazione locale. Già in passato hanno manifestato malumori e disappunto verso una politica cittadina che, a loro avviso, non è capace di intercettare i bisogni più autentici della comunità. La partita di oggi è stata solo l’ennesima conferma: secondo loro, chi governa non riesce a comprendere, né tantomeno a rappresentare, le istanze più profonde della società civile.

I tifosi hanno detto chiaramente ciò che molti pensano: a Ugento esiste un problema di competenza. Al timone della città ci sono persone che non riescono a difendere ciò che davvero conta, che non ascoltano i giovani, che non riconoscono il valore di chi sacrifica tempo, energie e passione per sostenere i colori giallorossi.

Una lezione di dignità che vale per tutti

Quella di oggi non è stata soltanto una protesta calcistica. È stata una lezione di vita. I tifosi dell’Ugento hanno dimostrato che il calcio non è soltanto un gioco, non è solo una questione di risultato. È identità, è appartenenza, è dignità.

Restando fuori dal loro stesso stadio, hanno scelto di rinunciare a un pezzo di tifo per affermare un principio più grande: che non si può accettare di essere trattati da ospiti nella propria casa. Che non si può rimanere in silenzio davanti a decisioni ingiuste e miopi.

Questo esempio deve valere per tutti, soprattutto per quei “dinosauri” che governano Ugento da trent’anni e che ieri hanno ricevuto una lezione di vita da dei ragazzi spesso giudicati con leggerezza, troppo facilmente etichettati. Ragazzi che, sotto il profilo umano, hanno dimostrato di essere una spanna sopra chi oggi rappresenta politicamente la nostra comunità.

Se è vero che la verità conta più di tutto, oggi i tifosi dell’Ugento hanno dimostrato di essere uomini veri. Hanno messo da parte l’istinto di tifare e hanno messo al centro della loro esistenza un valore che a Ugento sembra essersi smarrito: la dignità.

Ecco perché, al di là del 2-0, questo derby verrà ricordato come il giorno in cui i tifosi giallorossi hanno dato un esempio a tutti. Un esempio di coerenza, di coraggio, di amore per la propria città. Un esempio che racconta meglio di qualsiasi cronaca sportiva chi sono davvero i nostri ragazzi, la parte più viva e sincera della comunità.

lo striscione con il quale i tifosi, lo scorso anno, denunciarono il comune

L’arrivo del gambero killer a Ugento e gli appelli inascoltati

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Oggi il Quotidiano di Puglia dedica spazio a un nuovo pericolo che incombe sui bacini del parco naturale regionale “Litorale di Ugento”: il gambero rosso della Louisiana, ribattezzato “gambero killer”, una specie aliena che si sta diffondendo silenziosamente e che rischia di stravolgere l’ecosistema delle zone umide ioniche. L’articolo, firmato da Pierangelo Tempesta, dà voce a un pescatore e a un tecnico ambientale che hanno lanciato l’allarme dopo i primi ritrovamenti.

Ma la verità è che non si tratta di una scoperta improvvisa. Già sei anni fa qualcuno aveva visto arrivare il problema e ne aveva denunciato i rischi. Si tratta della guardia ambientale Francesco Chetta, amico e collaboratore della nostra testata, che segnalò con chiarezza la presenza del gambero killer nei canali di bonifica di Melissano. A raccogliere e pubblicare quella denuncia fu il giornalista Marco Montagna, in un articolo che, riletto oggi, suona come una profezia ignorata.

Chetta spiegava, senza giri di parole, che questa specie è onnivora e vorace: si nutre di piante acquatiche, alghe, insetti, uova, girini e anfibi, riducendo al silenzio la biodiversità locale. Dove arriva lui, non c’è spazio per altro. E aggiungeva che la sua capacità di adattamento e riproduzione lo rende un invasore difficile da fermare. Parole che, col senno di poi, suonano drammaticamente attuali.

La storia del gambero rosso della Louisiana non è solo quella di un crostaceo “alieno” che ha trovato terreno fertile nel Salento, ma anche quella di un territorio lasciato senza strumenti di difesa. Il Consorzio di bonifica e il Comune di Ugento non hanno fatto nulla per affrontare per tempo il problema. La politica ha preferito guardare altrove, la stampa più compiacente lo ha relegato a notizia marginale, e così un fenomeno che poteva essere contenuto si trasformerà in una nuova emergenza.

Gli effetti sono noti e documentati anche altrove. In Italia e in Europa, il Procambarus clarkii ha già causato danni enormi. Scava tane che erodono argini e canali, compromettendo la stabilità di intere aree di bonifica. Aumenta la torbidità delle acque e riduce l’ossigeno, favorendo alghe nocive e rendendo invivibili gli habitat. Preda uova e piccoli animali, mettendo a rischio il futuro di specie autoctone, tra cui il nostro gambero di fiume europeo. Non solo: è anche portatore della cosiddetta “peste del gambero”, un fungo letale che ha sterminato popolazioni di crostacei autoctoni in mezza Europa.

Basta guardare ad altri contesti per capire che non si tratta di un allarme esagerato. Al Lago Trasimeno, in Umbria, l’arrivo del gambero killer ha sconvolto la catena alimentare e compromesso intere comunità acquatiche. In Spagna e Portogallo, la sua proliferazione ha messo in ginocchio sia le zone umide sia le risaie, generando danni economici per milioni di Euro oltre che ambientali.

Chetta lo aveva detto, e Montagna lo aveva scritto. Ma nessuno ha ascoltato. Oggi, invece, siamo costretti a fare i conti con una realtà che non si può più ignorare. Nei bacini di Ugento il gambero killer è già presente, e ogni giorno che passa rafforza la sua posizione, rendendo sempre più difficile – se non impossibile – un contenimento efficace.

Questo caso è l’ennesima prova di come l’inerzia delle istituzioni e la superficialità con cui vengono trattati i temi ambientali possano avere conseguenze devastanti. Non è solo una questione di natura e biodiversità: in gioco ci sono anche la tenuta delle infrastrutture idriche, l’economia legata al parco, la salute delle comunità che vivono in simbiosi con questo territorio.

La domanda, a questo punto, è inevitabile: quanto avremmo potuto risparmiare in danni e risorse se sei anni fa si fosse dato ascolto a chi aveva visto arrivare il pericolo?

Oggi il Comune di Ugento e la Regione Puglia dovranno affrontare un altro fronte caldo nella gestione del parco naturale che continua a vedere la riduzione delle specie faunistiche al suo interno. Ma questa volta non potranno dire di non sapere: perché l’allarme c’era già stato, forte e chiaro. E non ascoltarlo è stata una responsabilità precisa.

Lo Scarcagnulu: dal folklore salentino ai commenti social

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La piccola tromba d’aria che ieri ha colpito Torre San Giovanni ha suscitato stupore e curiosità, tanto che in molti, sui social, hanno commentato scherzosamente attribuendo il fenomeno a un scarcagnulu. È bastato questo per trasformare un evento atmosferico in un’occasione di memoria collettiva e cultura popolare: una vera e propria lezione di salentino e di tradizione orale – fermo restando che il fenomeno solo per fortuna non ha provocato danni alle persone e i testimoni parlano di una vera e propria tromba d’aria – .

Chi è lo Scarcagnulu

Lo Scarcagnulu, conosciuto anche come scazzamurieddu o carcagnulu a seconda dei paesi, è una delle figure più iconiche del folklore salentino. È un piccolo folletto dispettoso, invisibile ai più, ma sempre presente nelle storie tramandate di generazione in generazione.

Secondo la tradizione, ama fare scherzi di notte: intreccia i capelli delle ragazze, annoda la criniera dei cavalli, nasconde oggetti o si diverte a disturbare il sonno degli adulti, sedendosi sul loro petto e provocando sogni agitati. Il nome “scarcagnulu” deriverebbe proprio dal calcagno, perché si racconta che saltellasse sui talloni di chi dormiva.

Tra paura e fortuna

Nonostante la sua natura birichina, lo scazzamurieddu non è soltanto un portatore di fastidi. La leggenda vuole che chi riuscisse a catturarlo o a ingraziarselo, magari offrendogli un po’ di vino o di cibo, potesse ottenere in cambio protezione o persino scoprire tesori nascosti. Così, accanto al timore di incappare nei suoi dispetti, c’era anche la speranza che la sua presenza fosse segno di prosperità.

Un “folletto” che unisce il Salento all’Europa

Lo Scarcagnulu non è un caso isolato: in tutta Italia e in Europa ricorrono figure simili. A Napoli c’è il munaciello, in Sardegna il su mammutone, nel Nord Europa gli elfi e i coboldi. Tutti hanno in comune la capacità di spiegare, attraverso la fantasia, fenomeni difficili da comprendere o piccoli eventi inspiegabili della vita quotidiana.

Dal mito ai social

Se un tempo il folletto popolava le veglie intorno al camino o le chiacchiere nelle stalle, oggi il suo nome rimbalza nei commenti online, pronto a diventare spiegazione ironica di un fenomeno atmosferico. È successo anche ieri: davanti al video della tromba d’aria a Torre San Giovanni, più di qualcuno ha tirato in ballo lo scarcagnulu, trasformando una notizia di cronaca in un’occasione per riscoprire la ricchezza del nostro immaginario popolare.

Che si tratti di un dispettoso folletto o di un fenomeno meteorologico, lo scarcagnulu resta un simbolo vivo della tradizione salentina. Citato con affetto e ironia, continua a essere un ponte tra passato e presente, tra credenze popolari e linguaggio contemporaneo.

Forse è proprio questo il suo vero potere: farci sorridere e ricordare che la nostra identità è fatta anche di storie antiche, capaci di sopravvivere ai secoli e di ritrovare nuova vita… perfino nei commenti di un post sui social.

Un potere ed una tradizione così radicata da essere stata citata anche dal grande Domenico Modugno

Raduno di Auto e Moto d’Epoca a Melissano

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Melissano si prepara a vivere una giornata all’insegna della passione per i motori e la tradizione. Domenica 7 settembre, a partire dalle ore 9:00, presso l’Area Eventi di Melissano, si terrà il Raduno di Auto e Moto d’Epoca, un appuntamento imperdibile per collezionisti, appassionati e curiosi.

L’evento, organizzato in occasione dei festeggiamenti per Sant’Antonio da Padova, vedrà la partecipazione di veicoli storici perfettamente restaurati che sfileranno tra le vie del paese, regalando uno spettacolo unico dal fascino intramontabile.

Non mancheranno il mercatino di scambio, i gadget del Salento e tante sorprese per i visitatori. Il raduno sarà anche un’occasione di incontro e socializzazione, dove gli amanti delle due e quattro ruote potranno condividere storie, esperienze e curiosità legate al mondo dei mezzi d’epoca.

Il programma prevede, oltre all’esposizione, anche il tradizionale giro per le vie del paese, in collaborazione con le forze dell’ordine che garantiranno sicurezza e ordine durante l’evento.

Gli organizzatori raccomandano la massima attenzione al rispetto delle regole: solo mezzi storici e restaurati potranno partecipare ufficialmente al raduno; non saranno ammessi veicoli modificati o elaborati.

Un’occasione speciale per vivere Melissano tra cultura, tradizione e passione motoristica.

📍 Raduno Auto e Moto d’Epoca – Domenica 7 settembre, ore 9:00, Area Eventi Melissano

Ripartiamo dalle basi: non favori, ma visione per tutti

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Negli anni Novanta, con la cosiddetta legge Bassanini, l’Italia compì un passo decisivo verso una pubblica amministrazione più moderna e trasparente. Quella riforma stabilì che la politica e la gestione amministrativa devono rimanere su due piani distinti: agli amministratori eletti spetta il compito di fissare gli indirizzi generali validi per l’intera comunità, ai dirigenti e agli uffici tecnici quello di dare attuazione concreta a quelle decisioni, con la responsabilità degli atti economici e delle procedure. Non fu una scelta marginale: fu un pilastro a garanzia della democrazia e della legalità, perché impediva che la politica si riducesse a una rete di favori o a rapporti personali con chi cercava scorciatoie.

Eppure, a distanza di trent’anni, questo principio appare sempre più dimenticato. Troppo spesso la politica locale si piega a logiche individuali, a interessi particolari, a piccole mediazioni che nulla hanno a che fare con l’interesse collettivo. Un buon politico non è colui che accontenta il singolo, ma chi riesce a costruire regole, progetti e visioni capaci di garantire un futuro equo e condiviso. Ogni volta che ci si sostituisce agli uffici trattando con fornitori in prima persona o cercando soluzioni ad hoc per singoli casi, si tradisce lo spirito della legge Bassanini e si mortifica il senso stesso del mandato pubblico.

Il caso di Ugento è emblematico. Le ultime elezioni comunali hanno registrato il peggior risultato di sempre sul fronte dell’affluenza, certificando un distacco profondo tra cittadini e istituzioni. È il segnale più chiaro che la situazione è compromessa: quando metà della popolazione rinuncia a votare, significa che la politica ha perso credibilità, che la fiducia è svanita, che la comunità non si sente più rappresentata.

Per questo oggi non basta cambiare qualche volto o rinnovare qualche lista. C’è bisogno di aria nuova, di nuovi protagonisti, ma soprattutto di nuovi metodi. Bisogna riscoprire il senso originario della politica: non il favore al singolo, non la promessa individuale, ma la capacità di costruire indirizzi generali validi per tutti. Solo così si può restituire dignità alle istituzioni e riavvicinare i cittadini alla vita pubblica. Ugento merita una politica che torni a fare politica, che sappia guardare avanti e costruire futuro, non una che si perda in pratiche vecchie, personalistiche e ormai logorate.

Burgesi: di proroga in proroga

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Sembra passata un’eternità da quel “Burgesi, una discarica dimenticata”. Le polemiche legate alla proroga regionale della discarica di servizio e soccorso annessa all’impianto di biostabilizzazione, con flebili proteste e insignificanti sommosse, consessi istituzionali che hanno concluso poco o nulla, tranne elevare qualcuno a “uomo della provvidenza”, sembrano essersi disciolte nel caldo afoso di un’estate che sta per concludersi. C’è l’amara sorpresa dell’ulteriore proroga fino al 30 settembre prossimo. 

Ugento registra un vissuto drammatico. Un atteggiamento tipicamente nostrano. Un conflitto socio – ambientale che in questo caso vede “fazioni apparenti”, perché la campagna elettorale incombe e sono in molti ad essersi dimenticati dell’obbligo in capo al gestore della vecchia Burgesi di “presentare annualmente nel corso di iniziativa pubblica, da concordarsi con l’Amministrazione comunale, i dati di monitoraggio”. Per qualcuno sarebbe una sciocchezza perché “solo al verificarsi delle declinate condizioni si potranno fornire ai cittadini le più adeguate e trasparenti informazioni e conoscenze dando così piena attuazione ai principi di democrazia ambientale e partecipativa”. Intanto occorre dire che, come confermato dalla giunta emiliano, un’indagine geofisica di tipo elettrico ed elettromagnetico sul corpo della discarica hanno escluso la presenza di fusti metallici. Quindi dovremmo starcene più tranquilli e sereni, non disturbando il “Re Mida”? Certamente no! Dovremmo chiedere e pretendere trasparenza su quanto è stato fatto fino ad oggi? Certamente sì! È un diritto di ogni cittadino e dovere di ogni amministratore locale e regionale. Taluno nostrano sostiene che “il giorno dopo resta tutto”. Più che restare, si materializza la fiacca rassegnazione, talvolta voluta e cercata con quell’indifferenza ormai divenuta prassi, tradottasi in sistema di affievolimento se non di spegnimento della fiamma del libero pensiero. Più che “leggerezza negli sguardi incontrati”, di “felicità che non si dimentica”, come ha scritto un grande sociologo e psichiatra in un suo ultimo libro bisogna prendere atto che pensare sia diventato un reato. Che non ci sia stata una manifestazione acciocché Ugento avrebbe deciso di raccontarsi con le sue mani, con le sue voci, con i suoi sorrisi, risalta un preoccupante status quo sociale su cui riflettere! Sarebbe bello vedere gli stessi sorrisi delle tante persone che non ci sono più, ammalatesi per le ferite inferte all’ambiente. Di coloro che conoscono gli effetti di talune patologie. Sarebbe interessante chiedergli che cosa pensano della sporcizia e del lordume delle strade, del degrado delle campagne, del decadimento delle nostre marine, degli abbandoni di rifiuti. Più che “l’odore del vino fermatosi nei vicoli”, sovrasta il puzzo degli incendi, quasi sempre smaltimenti in bianco di rifiuti tossici, della spazzatura lasciata per strada a marcire. A rendere l’aria irrespirabile concorre drasticamente l’incapacità di coinvolgimento, estorcendo il profumo di partecipazione democratica che volutamente si affossa nelle sabbie mobili del timore e della paura sociale. Sono ben altro rispetto al bighellonare sui social, di guisa che ci si orna di selfie, commenti, nenie e astrusi apoftegmi inzuppati di capricci infantili.   

Dalla Regione arrivano 510.000 euro per proseguire il piano straordinario di verifica ambientale in località Burgesi. Utilissimi, certo! Ma non sarebbe opportuno sapere quanto è stato fatto prima? Come è stato speso il milione di euro stanziato nel 2017? Che cosa ci dicono i risultati del progetto Geneo? Che cosa emerge dal referto epidemiologico comunale? Sarebbe utile l’assemblea pubblica ove i cittadini possano essere messi a conoscenza di tutti i dati di monitoraggio ad oggi disponibili? 

Dinanzi a questioni serie che toccano le vite della gente abbiamo bisogno di persone serie. Non c’è tempo di occuparsi dei gufi perché non troveranno mai spazio. L’arena deve essere occupata con responsabilità, dalla chiarezza, dalla trasparenza, dall’onestà intellettuale e dalla lealtà verso sé stessi e verso i cittadini, soprattutto di quelli che hanno deciso di disertare le urne. Amare il proprio territorio, tutto, significa metterci la faccia per dire a chi si sta abbracciando, nel mentre si esibisce sulla passerella elettorale, che ha sbagliato e sta continuando a sbagliare. Questi devono essere i fatti, tutto il resto è noia! Le feste si dimenticano, le ferite nella Terra, le malattie e la sofferenza no. 

Area fitness di Gemini nell’incuria: chiarimenti dopo il video

Dopo il video in diretta di ieri, che ha mostrato l’area fitness di Gemini invasa dall’erba alta e in evidente stato di abbandono, non si placano le polemiche in paese. Cittadini e genitori, preoccupati soprattutto per la sicurezza dei bambini che da sempre frequentano il parco, hanno denunciato pubblicamente la situazione di incuria e di pericolo.

Come spesso accade, alle preoccupazioni si sono affiancate accuse incrociate, con il solito rimpallo di responsabilità tra associazioni e istituzioni. Per questo motivo, la nostra redazione ha ritenuto necessario fare chiarezza su quella che è oggi la situazione gestionale dell’area.

Dai documenti pervenuti, risulta che l’area fitness di Gemini sia stata affidata in comodato d’uso e gestita dalla Pro Loco Gemini – Torre Mozza Beach a partire dal 25 marzo 2019. Tale gestione è proseguita fino al 13 luglio 2023, quando la stessa associazione ha comunicato ufficialmente al Comune di Ugento la rinuncia alla convenzione, dichiarando di non avere più la possibilità di occuparsi della manutenzione ordinaria.

Nella stessa comunicazione, tuttavia, la Pro Loco si è resa disponibile a interventi saltuari di pulizia qualora il Comune ne avesse fatto richiesta. Da quanto ci risulta, nessuna richiesta formale è mai stata inviata dall’amministrazione, né tantomeno sono stati programmati interventi diretti da parte degli operai comunali.

Ad oggi, quindi, il parco versa in uno stato di totale abbandono, che può essere attribuito all’inadempienza del Comune di Ugento, il quale non ha provveduto né alla manutenzione né al coordinamento con l’associazione.

I cittadini di Gemini attendono ora un segnale concreto: una comunicazione e un intervento immediato, affinché l’area fitness torni ad essere fruibile e sicura per tutti, soprattutto per i più piccoli.

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