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La soluzione agli incendi c’è, ma nessuno vuole vederla

L’estate 2025 ha reso ancora più drammatica la fragilità del nostro territorio: tra l’1 giugno e il 12 luglio sono bruciati 2.829 ettari di macchia mediterranea e aree boschive solo in Puglia, con Lecce che ha registrato 467 ettari, seguito da Foggia con 1.609 ettari.

Solo dal 15 giugno al 15 luglio, i roghi sono aumentati del 20% rispetto al 2024, con 979 incendi censiti contro i 780 dell’anno scorso. In provincia di Lecce se ne sono contati 317, a Foggia 152, a Taranto 127, altri nella Bat, Bari e Brindisi.

A livello nazionale, i primi sette mesi del 2025 hanno visto 30.988 ettari andare in fumo: la Puglia da sola ha contribuito con 1.957 ettari in più di superficie distrutta in grandi incendi (superiori a 100 ettari).

L’emergenza incendi non si limita al caldo estremo o alla siccità: spesso è aggravata dalla mano dolosa, dall’abbandono dei rifiuti nei campi e dalla ridotta presenza di cittadini custodi del territorio.

Contemporaneamente, non si arresta l’incubo della Xylella fastidiosa, che ha compromesso circa il 40% della superficie pugliese, mettendo a rischio oltre 10 milioni di ulivi, tra i simboli più preziosi del Salento.

Il combinato disposto tra incendi, devastazione agricola, spopolamento e abbandono crea un circolo vizioso: aree un tempo custodite sono ora pronte a incendiarsi come micce, minacciando villaggi turistici, biodiversità e il futuro stesso del territorio.

Il drone antincendio FH-0: una speranza tecnologica

La tecnologia esiste. Si chiama FH-0, realizzato dall’azienda italiana Vector Robotics, ed è un drone con termocamera antincendio che:

  • È progettato esclusivamente per prevenire incendi, con analisi autonome in tempo reale.
  • Rileva piccoli focolai, elabora l’allerta automaticamente e invia le coordinate alla centrale operativa.
  • Vola ininterrottamente ANCHE CON VENTO FORTE per oltre 15 ore, grazie a celle solari integrate, funzionando silenziosamente e senza carburante.

Un dispositivo capace di trasformare le prime avvisaglie di incendio in un allarme tempestivo anziché in tragedia annunciata.

La prova in Calabria e il riconoscimento di Focus

L’efficacia dell’FH-0 non è rimasta confinata alle schede tecniche. La prestigiosa rivista Focus ha raccontato la sua esperienza, citando in particolare il caso della Calabria, dove – secondo le parole del presidente della Regione – questa tecnologia ha contribuito a ridurre del 40% gli incendi dolosi.

Un risultato concreto, ottenuto grazie a un monitoraggio capillare e a interventi rapidissimi sul territorio, che dimostra come il potenziale dell’FH-0 possa tradursi in salvaguardia ambientale e risparmio economico.

Eppure, questo strumento rivoluzionario è già nel Salento: è custodito, chiuso in una valigetta in un garage umido a Ugento. Il proprietario ha più volte proposto di metterlo in campo all’Ente Parco e al Comune, senza ottenere alcuna apertura.

Domande pressanti: se il drone funziona, costa poco, può salvare comunità e milioni di euro di danni… perché viene tenuto fermo?

  • Milioni di euro spesi ogni anno tra Canadair, squadre di terra e soccorso.
  • Solo migliaia di euro al mese basterebbero a impiegare il drone FH-0 su vaste aree, mitigando il rischio di incendi e i costi per ripristino ambientale.
  • Secondo Coldiretti, per ogni ettaro distrutto servono oltre 10.000 € per recupero e bonifica.

A privati cittadini, imprenditori, associazioni e enti pubblici che amano questa terra e vogliono proteggerla:

Scriveteci. Vi metteremo in contatto diretto con il proprietario di questo drone rivoluzionario per valutare un progetto pilota con il drone FH-0.

Non serve un bilancio milionario, solo un investimento concreto – di poche migliaia di euro – che può fare la differenza tra ettari di territorio salvati o carbonizzati.

Crisi del turismo: serve un nuovo modello, non nuovi colpevoli

Il Salento è finito sotto accusa. Ancora una volta. Ma quest’estate l’eco è stata più forte che mai, sospinta da influencer e volti noti, come Pinuccio e Alessandro Gassmann, che hanno rilanciato a colpi di social una teoria tanto semplice quanto populista: il problema sono i prezzi. Un refrain che ha finito per scaricare la responsabilità del crollo turistico su una sola categoria: i gestori dei lidi balneari. Ma la realtà, come sempre, è molto più complessa.

Quella del 2025 sarà ricordata come l’estate del tracollo turistico salentino. Lo si vede nei ristoranti semivuoti, nei viali delle marine meno affollati, negli alberghi che ancora a fine luglio cercano di riempire le camere con offerte last minute. Lo si legge soprattutto nei dati preliminari, che parlano di un calo delle presenze stimato tra il 30% e il 40% sulla costa ionica e in particolare a Ugento, un tempo fiore all’occhiello del turismo di massa pugliese.

Già lo scorso anno Ozanews aveva lanciato l’allarme, basandosi sui dati ufficiali della Regione Puglia, e anticipando un 2025 difficile. Un segnale chiaro che è stato ignorato da chi ha preferito usare i numeri come bandiere elettorali, anziché strumenti di pianificazione.

È troppo semplice dare la colpa solo ai prezzi. Sì, ci sono eccessi. Ma sono eccezioni, non la regola. Il problema va molto oltre il costo di un lettino o di una frisa. Serve un’analisi profonda e onesta, che tenga conto del momento storico che stiamo vivendo. Secondo il Censis, 6 italiani su 10 quest’estate hanno rinunciato alle vacanze. Un dato che racconta una crisi economica pesante del ceto medio, sempre più impoverito, sempre più attento a ogni spesa.

E anche chi ha deciso di partire per il Salento lo fa con maggiore prudenza e consapevolezza. Parliamoci chiaro: non è un turismo povero, è un turismo più attento, che non è più disposto a pagare 17 euro per una frisa con vista mare, né 10 euro per un panino riscaldato. E ha ragione.

Chi lavora bene, continua a lavorare

C’è chi, nonostante tutto, sta lavorando. E anche bene. Sono quelli che hanno investito in qualità, cura, professionalità, nell’accoglienza vera. Sono quelli che parlano almeno una lingua straniera, che ascoltano il cliente, che sanno cosa vuol dire fare turismo oggi. Il calo, per loro, è contenuto. Perché hanno capito prima degli altri che il turismo è cambiato. Perché il Salento non basta più venderlo solo con il mare. Occorre un’offerta completa, coerente, competitiva.

Chi invece ha preferito l’approssimazione, il “tanto vengono lo stesso”, chi ha puntato solo sulla rendita e ha trattato i turisti come numeri, oggi paga pegno. Eppure non era difficile prevederlo. Ma chi ha osato dirlo, un anno fa, è stato bollato come disfattista. Ora che la realtà presenta il conto, lo fa con una violenza economica e sociale che nessun post virale potrà giustificare.

Ugento è il caso più emblematico. Quello che dovrebbe far riflettere di più. Perché è proprio qui che si registrano i numeri peggiori, ed è proprio qui che le carenze strutturali e amministrative sono più evidenti.

Nonostante sia il comune con il più alto numero di presenze turistiche della provincia di Lecce, non esiste alcuna agenzia di promozione turistica, nessun piano strutturato, nessuna visione. Si incassano ogni anno 850.000 euro di tassa di soggiorno, ma nessuno sa realmente dove finiscono. Non in servizi, non in promozione, non in comunicazione. Solo in una miriade di iniziative estemporanee e poco incisive, spesso utili solo alla campagna elettorale del consigliere comunale di turno.

Nel frattempo, le attività commerciali chiudono, i giovani emigrano, le strade restano sporche, le marine senza decoro, le infrastrutture vecchie e scollegate. L’unico comparto produttivo alternativo, quello dell’agricoltura, è stato decimato dalla Xylella, lasciando l’economia locale in balia del turismo stagionale, sempre più fragile e imprevedibile.

Il turismo di massa è una trappola

E proprio Torre San Giovanni, emblema del turismo di massa, mostra i limiti di un modello basato sulla quantità e non sulla qualità. I grandi villaggi turistici, che un tempo erano motore economico, oggi trattengono i profitti e lasciano sul territorio solo le briciole. A fronte di migliaia di presenze, i piccoli esercenti non vedono un euro, mentre l’ambiente paga il prezzo in termini di spazzatura, traffico, consumo del suolo e degrado. Questo sistema non è più sostenibile.

Chi continua a dire che “abbiamo il mare” come se fosse una garanzia eterna, si sbaglia di grosso. Il mare non basta più. Servono idee, progetti, sinergie, formazione. Serve un piano serio di rilancio che parta da un’analisi onesta della realtà e da una regia pubblica capace di guidare e coordinare gli attori locali. Ugento ha le potenzialità per essere un esempio virtuoso, ma senza coraggio politico e visione strategica, continuerà a perdere terreno.

E nel frattempo, i social continueranno a urlare, i numeri a crollare, e il Salento a perdere quella magia che per anni lo ha reso grande.

Grazie mille per la stima sindaco Chiga

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Dopo questa ennesima rivelazione, non posso fare a meno di immaginare il Sindaco di Ugento, Salvatore Chiga, sotto l’ombrellone del suo lido preferito, intento a sorseggiare un gustoso drink mentre legge con attenzione il nostro giornale, ozanews.it. Un’immagine che oggi appare più reale che mai, dopo quanto accaduto durante il Consiglio Comunale di ieri.

Abbiamo infatti ottenuto la certezza matematica, comprovata dalla stenotipia, di come il Sindaco sia un assiduo lettore – forse tra i più assidui – del nostro giornale.

Durante il suo intervento, infatti, ha citato diversi passaggi di un nostro articolo risalente al 29 luglio scorso, dedicato alla questione rifiuti. Un dato di fatto inequivocabile, che dimostra come non solo segua con attenzione il nostro lavoro, ma che ne riconosca il valore e la precisione.

Ma c’è di più: il Sindaco ha inserito quelle stesse citazioni all’interno di un atto ufficiale, inviato via PEC alla ditta che attualmente gestisce la raccolta dei rifiuti a Ugento, chiedendo chiarimenti precisi. Un gesto che sottolinea ulteriormente la fiducia nelle informazioni da noi riportate.

Questa circostanza smentisce categoricamente tutte le voci – spesso alimentate da esponenti e ciechi sostenitori di questa maggioranza – che da tempo insinuano dubbi sulla bontà delle notizie pubblicate su ozanews.it, sol perché questa testata si ostina a non voler scrivere solo di sagre e redivivi santi. Ironia della sorte, proprio il rappresentante di quella maggioranza certifica oggi la credibilità e l’autorevolezza del nostro giornale.

Per me, Riccardo Primiceri, nuovo direttore responsabile della Testata, tutto ciò rappresenta un grande onore, una vera e propria medaglia da appendere al petto. E proprio per questo, anche e soprattutto per questo, continueremo con nuova e rinnovata forza il nostro lavoro, che mai ha ricevuto alcun contributo pubblico a differenza di altre testate giornalistiche che operano sul territorio di Ugento, con ben altra fortuna ma con il portafoglio gonfio.

Siamo certi che la nostra indipendenza e libertà siano il fondamento indispensabile per avviare finalmente un cambio radicale di paradigma nel nostro Paese. Un cambiamento che dovrà passare attraverso una vera e propria rinascita popolare e sociale, quella che i nostri cittadini attendono ormai da oltre trent’anni.

Ora, una volta per tutte, possiamo affermarlo con certezza: ozanews.it scrive, certifica e documenta le notizie. Tanto da essere citata come fonte ufficiale dallo stesso Sindaco di Ugento.

Un grazie sentito, dunque, a Salvatore Chiga. Perché questo riconoscimento rappresenta un importante attestato di fiducia e di rispetto per il nostro lavoro.

-L’IMMAGINE DI COPERTINA è un fotomontaggio a corredo dell’editoriale –

Il rito della salsa nei ricordi di un bambino

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Appare talvolta fascinoso compiere un percorso temporale all’incontrario. Nel senso di partire dal presente per arrivare con la mente, con gli occhi e con il cuore a momenti del passato che sembrano fissati nella memoria come le colonne di un tempio sacro millenario, reso indistruttibile dalla sua maestosità simbolica e architettonica. Ancora una volta, la sociologia classica ci viene in aiuto, permettendoci di osservare, seduti su una sedia del tutto particolare. Ponendoci domande che non avremmo mai pensato di porci e che evidentemente regalano l’opportunità di riflettere sul presente per seminare qualcosa in un futuro che è e sarà sempre per tutti, tutto da scoprire.

Per caso, come spesso mi capita durante il periodo estivo, nel mentre mi recavo a lavoro, mi accorgevo che in attesa ad un semaforo vi era un’ape con a bordo alcune casse piene di pomodori. Mi avvedevo subito trattarsi dei “San Marzano”. Proprio quelli che il nonno materno coltivava annualmente per la salsa. Lo ricordo con nostalgia quando orgogliosamente diceva: “aggiu chiantati i pummitori pe la salsa”.

Un grande maestro della sociologia come Emile Durkheim ci spiega che le “tradizioni” sono strettamente legate al concetto di cose sacre e di rituali, essenziali per la coesione sociale, cioè la capacità di una società di assicurare il benessere della collettività, basandosi su relazioni sociali solide, senso di appartenenza condiviso, qualità dei legami tra le persone, solidarietà e capacità di affrontare insieme sfide e difficoltà. E la coscienza collettiva, che è l’insieme delle credenze, dei sentimenti e dei valori condivisi dai membri di una società, che trascende le singole coscienze individuali e fornisce un quadro di riferimento per l’azione sociale. Le tradizioni riassumono le credenze e le pratiche riguardanti oggetti ed eventi sacri, che servono a rafforzare i legami sociali e a mantenere l’ordine sociale. La preparazione della salsa di pomodoro è una delle poche tradizioni che resiste nel tempo, che sembra non cadere in quel dimenticatoio, ove stiamo tendenzialmente riversando ogni senso di comunità, schiacciandolo con il ricorso smisurato alle tecnologie digitali che occupano completamente le nostre vite. La salsa è e rimane un rito perché ad esso connetto la memoria ed il ricordo mi riporta agli anni della minore età. Ricordo che in quegli anni le spremi pomodoro elettriche non esistevano. La spremitura dei pomodori bolliti con cipolla, basilico e sale, avveniva a mano con una macchinetta, mossa dalla mano a ritmo di tac tac. Ovviamente era il nonno a svolgere le mansioni più pesanti e pericolose: spremitura, movimentazione dei pomodori, tappatura delle bottiglie bollenti di salsa che venivano poi sistemate a strati all’interno di grandi cassoni artigianali. Io non lo mollavo un attimo. Per bollire i pomodori inventò una sorta di fornace alimentata con segatura di legno molto fine. Una volta accesa, la fiamma si autoalimentava ed i pomodori venivano bolliti in un non nulla. La cottura finale delle bottiglie avveniva con la tecnica “a bagnomaria” all’interno di enormi cassoni pieni d’acqua. Siccome il nonno era di un’intelligenza sopraffina, pur non avendo “e scole tise” li realizzò da solo tagliando simmetricamente un bidone/fusto di metallo per uso industriale. La salsa dell’estate era un appuntamento fisso a cui ancora oggi nessuno può sottrarsi. Un rito antico che nonostante le varie proposte commerciali, ancora si ripete, anno dopo anno, in tante famiglie. 

Le bottiglie che dai cassoni venivano tolte per essere sistemate nelle cassette di plastica costituivano la scorta per l’inverno, per sfamare tutti. Era bello l’inizio di questo magico rituale: la catena di montaggio umana cominciava all’alba, “cu lu friscu”, diceva il nonno. Ogni partecipante aveva un compito ben preciso e non vi erano ostacoli che impedissero di vivere un clima familiare straordinario, che forse dovremmo riscoprire. Rimanevo abbagliato dalle sfumature di rosso dei pomodori che venivano “squicciati” (schiacchiati) e scelti per scartare quelli acerbi o “tuccati” (marci). Ai miei occhi di bambino era tutto un divertimento. Un momento per rispolverare gli aneddoti, per chiacchierare e spettegolare mentre dai pentoloni si sprigionava un profumo inconfondibile di sugo. Quella salsa non c’è più! Non ci sono più i nonni che tuttavia vivono nei ricordi di quel bambino a cui piaceva di anno in anno aspettare il loro arrivo a bordo di un’ape gialla 500, il cui festeggiante frastuono si sentiva da chilometri.

Il canto del cigno di Massimo Lecci

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Si è tenuto ieri mattina alle ore 9:30, presso l’auditorium della scuola media del Comune di Ugento, il Consiglio comunale straordinario monotematico richiesto dalle opposizioni, con all’ordine del giorno l’emergenza rifiuti che da mesi affligge la città. Un Consiglio atteso e necessario, che ha avuto il merito di portare alla luce le reali cause dell’inefficienza del servizio e di delineare responsabilità ben più complesse di quanto fino ad oggi raccontato.

Non si tratta, come qualcuno aveva provato a insinuare, di problemi legati al lavoro degli operatori ecologici o della nuova ditta subentrata a gennaio, né tantomeno dell’inciviltà crescente di cittadini e turisti. A chiarirlo è stato l’intervento tecnico del geometra Caprino, che ha sottolineato con precisione come i veri ostacoli siano di natura progettuale e contrattuale. I contratti in essere – redatti male, con falle evidenti – non riescono a garantire un ciclo virtuoso e sostenibile di raccolta e smaltimento dei rifiuti. Contratti che, a suo tempo, sono stati approvati dal consiglio comunale con Massimo Lecci sindaco e titolare della delega all’ambiente.

Una denuncia che l’opposizione aveva già più volte sollevato, così come Tiziano Esposito, da tempo tra le voci più critiche rispetto alla gestione dei rifiuti. Ma proprio Esposito, nel momento in cui sembrava che il Consiglio stesse volgendo verso un confronto finalmente costruttivo, è stato bersaglio di un intervento dai toni accesissimi da parte del vice sindaco Massimo Lecci, che ha fatto letteralmente saltare il clima di collaborazione respirato fino a quel momento.

Con un discorso che ha assunto più i tratti di un comizio elettorale che non quelli di una replica istituzionale, Lecci ha attaccato duramente la minoranza, rompendo ogni forma di dialogo e scegliendo la strada dello scontro. Il vice sindaco ha rivendicato i suoi 25 anni di potere come un mandato conferito “dalla maggioranza dei cittadini”, dimenticando – o omettendo consapevolmente – che alle ultime elezioni il suo consenso elettorale è arrivato solo da una esigua minoranza dei votanti. La sua elezione è infatti il risultato della legge elettorale che non prevede il doppio turno e che ha consentito a Lecci di vincere in un quadro frammentato, con quattro liste in corsa.

Ma ciò che ha maggiormente colpito è stato il tono e il contenuto delle sue parole. Massimo Lecci si è lasciato andare a pesanti insinuazioni di carattere personale nei confronti di Tiziano Esposito e della Protezione Civile di Ugento, trasformando un momento di confronto istituzionale in un attacco personale scomposto e inaccettabile. Accuse che, per toni e modalità, mi ricordano più una chiacchierata da bar che il dibattito politico in un’aula consiliare, svilendo il ruolo e la dignità dell’intero Consiglio comunale.

Non è, d’altronde, la prima volta che Massimo Lecci si rende protagonista di queste uscite e sparate. È uno stile politico che lo ha caratterizzato fin dall’inizio della sua lunga carriera, iniziata 30 anni fa, fatto di toni accesi e attacchi diretti, ma che oggi appare sempre più fuori dal tempo. Un modo di fare politica che non risponde più alle esigenze di una comunità provata, che fa i conti con un tessuto sociale ed economico lacerato.

Le attività commerciali continuano a chiudere con numeri certificati dalla camera di commercio, i giovani continuano ad emigrare come testimoniato dai dati AIRE, la spazzatura è diventata parte integrante del paesaggio urbano e questo lo stiamo vedendo tutti con i nostri occhi. La Xylella ha distrutto l’unico comparto che poteva garantire lavoro anche d’inverno, e che avrebbe potuto rappresentare un’alternativa reale alla dipendenza dal turismo di massa, senza che nessuno prevedesse per tempo le giuste controindicazioni. La situazione sociale è al limite, e in particolare la frazione di Gemini, perennemente ostaggio di beghe e contese politiche eterodirette e che sta diventando una vera e propria polveriera. Tutto questo nonostante centinaia di milioni di Euro spesi in progetti e bandi che nella maggior parte dei casi hanno prodotto opere pubbliche abbandonate.

Il nervosismo di Lecci è stato palpabile, così come la sua difficoltà a gestire una situazione che pare sfuggirgli di mano. Il suo discorso finale, per contenuti e toni, ha segnato una vera e propria caduta di stile, ma ha anche reso chiara una cosa: la barca sta affondando. E mentre alcuni pezzi della maggioranza cominciano a guardarsi intorno, il vice sindaco appare sempre più isolato, prigioniero di una narrazione personale che non regge più il confronto con la realtà.

Quello andato in scena ieri in consiglio, più che un attacco, è sembrato il canto del cigno di Massimo Lecci, che – qualora decidesse di ricandidarsi nella prossima consigliatura – sembra inevitabilmente destinato a sedere tra i banchi dell’opposizione. Il nervosismo, le parole fuori luogo, l’aggressività politica non sono che il segnale di chi fiuta l’imminente tramonto del proprio potere.

E mentre i cittadini attendono soluzioni concrete, la politica locale si scopre ancora una volta prigioniera di personalismi e rancori. Ma la città, come sempre, guarda avanti. E lo farà, presto o tardi, anche senza Massimo Lecci.

Aria nuova nello sport di Ugento: nasce una nuova squadra di pallavolo

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C’è aria nuova nello sport ugentino, e soffia con entusiasmo, passione e una voglia di fare che riaccende i riflettori sul volley in città. Si chiama G.S. Ugento la nuova realtà sportiva che nasce grazie all’iniziativa di un gruppo di amici di lunga data, ugentini di nascita e di spirito, uniti da un legame che ha le sue radici nei campetti di pallavolo dell’infanzia.

Una storia di sport e amicizia che ora diventa progetto concreto, con una squadra pronta a scendere in campo nella Serie D regionale, accanto all’altra storica formazione cittadina, i Falchi Ugento.

I protagonisti di questa avventura sportiva sono: Ezio Spennato, Andrea De Maria, Francesco Congedi, Daniele Fasano, Andrea Esposito, Antonio e Marco Coletta e Mattia De Rose, tutti cresciuti con la maglia da pallavolo sulle spalle, tra parquet e sabbia, sogni e sacrifici.

A coordinare il progetto e la squadra ci sarà una vera leggenda della pallavolo ugentina, Gianluca Pierri, l’ultimo storico capitano dei Falchi, uomo simbolo di una generazione di atleti che ha reso grande il nome di Ugento sui campi di tutta Italia. Pierri, che da poco ha spento 50 candeline, ha scelto di mettersi in gioco in una nuova veste, tornando sul taraflex al fianco di alcuni dei suoi ex compagni.

Non si tratta soltanto di sport giocato. La G.S. Ugento nasce anche con una forte missione sociale e comunitaria, con l’intento di essere risorsa viva per il territorio. Molti dei giocatori infatti sono anche fondatori della società stessa, con ruoli dirigenziali già ben definiti: Francesco Coletta è stato nominato presidente, a testimonianza di un progetto che è fatto di campo, ma anche di responsabilità, passione e impegno.

L’attesa cresce per l’inizio della nuova stagione sportiva: il campionato di Serie D vedrà due squadre ugentine ai nastri di partenza, e il volley cittadino non può che uscirne arricchito. Tanti gli appassionati pronti a sostenere i propri beniamini, in una stagione che promette emozioni forti, derby infuocati e, soprattutto, il ritorno di una grande passione sportiva in città.

Ugento torna a sognare. E lo fa col sorriso di chi, con una palla tra le mani e l’amicizia nel cuore, non ha mai smesso di crederci.

Cibus Uxenti: semplicemente straordinari!

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Fino all’altra sera, motivi di lavoro non mi hanno mai permesso di visitare un’edizione di Cibus Uxenti. L’evento enogastronomico che, nei giorni 2 e 3 agosto, ha trasformato il nostro Borgo Antico e Piazza San Vincenzo in un palcoscenico vivente di cultura, sapori e spettacolo. Alquanto significativo il motto di questa settima edizione “Picca pane, picca pene”, attorno al quale è stata sviluppata la manifestazione per celebrare la genuinità della terra, l’identità locale e la convivialità.

Come ho avuto già modo di dire privatamente ad un carissimo amico di sempre, mi sono divertito; mi sono entusiasmato; mi sono commosso ed ho perfino pianto perché in qualche scena mi sono venute in mente tante persone che ho conosciuto nella mia vita e che non ci sono più. In particolare, i miei nonni, che continuano a vivere dentro di me nel ricordo dei loro insegnamenti e dei tanti momenti che abbiamo vissuto in un passato senza tempo. E già! Proprio senza tempo, perché la sensazione che ho avuto è stata quella di sentire l’interruzione del trascorrere inesorabile del tempo. Il tempo che trascorre è cosa ben diversa dal tempo che passa! Come a dire, voi siete oggi ciò che noi siamo stati in quegli anni! Una sorta di richiamo, di invito, di sprone e forse anche di rimprovero!

La lunga attesa della guida è stata premiata dalla meraviglia e dalla bravura con cui ogni comparsa ha saputo immedesimarsi in quegli anni ’30, facendo emergere la suggestività dei luoghi della nostra città, sintesi di una storia millenaria, di una tradizione dai semi fecondi e di una capacità di rispolverare quella coesione e quella coscienza che sono il terreno fertile su cui ripiantare i piedi con lo sguardo al futuro, vivendo il presente e non dimenticando il passato.

Doveroso ringraziare ogni persona che ha partecipato all’organizzazione di questo fantastico evento. Applausi e congratulazioni assolutamente meritati! Tutti hanno contribuito all’ennesimo successo di una manifestazione che ormai si annovera tra gli eventi imperdibili dell’estate ugentina e geminiana. Gemini e marine sono Ugento. Ed Ugento è Gemini e marine. Esiste un solo territorio. Una sola storia. Una sola identità. Una sola tradizione.

Questa manifestazione aiuta il nostro pensiero a porci delle domande: che cosa significa oggi essere nato in questa Terra? Quale valore potrebbe portare l’avere radici ugentine o geminiane, così profonde e simbolicamente significative? 

Le risposte credo possano venire da quella che gli studiosi definiscono “sociologia classica”. Ed in effetti, il merito maggiore che va riconosciuto a tutte le Associazioni che hanno contribuito all’evento, agli Enti pubblici ed agli sponsor, è attribuibile all’essere riusciti a riaccendere la fiamma della coscienza collettiva e della coesione sociale, unendole ad un forte messaggio di promozione e marketing territoriale. 

Se ci fermiamo un attimo a riflettere, abbiamo avuto modo di rispolverare credenze, valori, norme e sentimenti condivisi che tanto influenzavano il comportamento individuale e collettivo dei nostri predecessori. Abbiamo rivissuto sotto certi aspetti quel “sentire comune” che accomunava i membri di quella comunità, che in parte continua ancora oggi ad influenzarci, plasmandone le azioni e le percezioni del mondo. Pensiamo a certe abitudini culinarie: salsa, peperoni sott’olio, verdure, pasta fatta in casa, etc. Forse non ci crederemo, ma vivendo Cibus Uxenti, ognuno di noi è stato un sociologo perché ha toccato con mano quella che è la coscienza collettiva, e constatato quanto sia fondamentale la coesione sociale, cioè la capacità dei nostri nonni di garantire il benessere, non inteso soltanto sul piano economico, attraverso relazioni forti e un senso unificante di appartenenza. Lungo le strade del nostro borgo antico è stato possibile cogliere l’insieme di quei legami, valori e norme condivise che consentivano di tenere unita una comunità, promuovendone l’armonia. 

Grazie indistintamente a tutti per questo salto nel passato, siete stati semplicemente straordinari!

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