Ambiente e Territorio
Stiamo eradicando la nostra storia
Da un paio di giorni in molti del nostro paese stanno parlando di un fatto che, anche considerando il momento drammatico che l’umanità intera sta vivendo, potrebbe sembrare una cosa da poco. Ma a giudicare dalle reazioni della gran parte dei nostri lettori si può ben capire che così non è.
Ma poco può fare un articolo scritto evidentemente troppo tardi, e che come ogni altra cosa non potrà portare indietro le lancette del tempo per poter salvare un albero che in tanti ricordano come un pezzo della loro infanzia e non solo.
Più utile, a questo punto, sarebbe ripensare sulla tendenza che negli ultimi 20 anni ha sistematicamente raso al suolo ogni piccola presenza di verde nel nostro comune, detto da un trentacinquenne a cui scende la lacrimuccia al pensiero delle centinaia di partite a calcio tra amici fatte su quella che era la spettacolare piazza San Vincenzo di un tempo.
Un destino che ha accomunato diverse cartoline del nostro paese ridotte a spianate di cemento per far spazio a opere di dubbio gusto e utilità, come la fontana di Piazza Colonna, di cui non se ne ricorda più l’ultimo giorno in cui è stata vista accesa.
E cosa dire del corso di Torre san Giovanni? Gli alberi tagliati selvaggiamente negli ultimi lavori di pavimentazione dovevano essere sostituiti da aiuole e vasi in cemento che permettessero la presenza, anche se minima, di verde. Oggi non se ne vede l’ombra.
Che senso ha continuare con questa tendenza? Che senso ha fare mille marce per la pace, piantare un milione di alberi se poi manca la sensibilità di fondo che ci permette di guardare ad un albero non solo per quello che è, ma come una parte della nostra vita rappresentata dai nostri ricordi migliori? Cosa rimane oltre gli spot organizzati a favore di telecamera?
In un paese premiato per un piano del verde in cui non appare una sola volta la parola “Xylella”, in un paese dove stanno piovendo milioni di euro per l’istituzione di un parco di cui in molti devono ancora capire l’utilità, sembra chiaro che il verde sia solo un vessillo sotto il quale fare affari e certo non una sensibilità a cui tendere per il bene del nostro paese.
Eterno monumento di questo concetto è sicuramente Burgesi, la discarica Monteco ormai dismessa che in origine doveva essere (una volta esaurita) una paradisiaca distesa di erba fresca, con migliaia di pioppi e fauna propedeutica al recupero dell’ambiente, così come previsto dal progetto del 1986. Purtroppo l’innalzamento della discarica permesso dall’amministrazione comunale che ha governati Ugento nei primi anni 2000, ha permesso che la cartolina idilliaca prospettata dal progetto diventasse quello che è ora.
Tutto questo non è legato solo ad una mera questione ambientale, quanto anche all’atteggiamento che abbiamo nei confronti della nostra storia. Un museo usato per 10 anni come salvadanaio e poi chiuso nell’indifferenza generale è sicuramente la metafora migliore che dimostra come il problema del nostro paese sia molto più serio di quanto pensiamo. Conosciamo male la nostra storia e addirittura tendiamo a dimenticarla, distorcerla, cancellarla. Come fatto con il Museo Archeologico Salvatore Zecca, di cui improvvisamente si è voluto cancellare il nome, nell’isterica voglia di celebrare la propria ignoranza.
La migliore e più sincera risposta a tutto questo è sicuramente l’indignazione delle persone per bene che hanno reagito dopo lo scempio avvenuto due giorni fa presso la Chiesa della Madonna della Luce. Un’indignazione su cui possono poggiarsi nuovi progetti e prospettive che comportino innanzitutto un cambiamento radicale, nei nomi e nelle idee, con la speranza che un cambiamento sia ancora possibile.