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Baby gangs. Un fenomeno da non sottovalutare

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Secondo l’Osservatorio nazionale sull’adolescenza, istituito presso il Ministero della Famiglia, è
stato evidenziato che il 6,5% dei minori fa parte di una banda, il 16% ha commesso atti vandalici, 3
ragazzi su 10 hanno partecipato ad una rissa. L’ultimo report del Servizio analisi criminale della
Direzione centrale della Polizia criminale sui minori segnala un aumento del 10% della quantità di
minori denunciati o arrestati. È salito del 20% anche il numero dei reati. Dai dati demografici
emerge che l’appartenente ad una baby gang ha tra i 7 e i 16 anni ed è quasi sempre maschio.
Tuttavia, il fenomeno sta aumentando anche tra le femmine e prende di mira soggetti più deboli
(coetanei, anziani, disabili). I dati sono tristemente in crescita rispetto allo scorso anno. La
presenza delle baby gang, non solo nelle grandi città, ma anche nelle piccole comunità è davvero
preoccupante, e richiede un’urgente riflessione sulle cause sociali e culturali che portano a forme
di prevaricazione e violenza fino al rischio di devianza e criminalità. Ciò che preoccupa
maggiormente è soprattutto la violenza gratuita che è diventata quasi la norma per molti giovani. Il
fenomeno delle baby gang riguarda una banda di giovanissimi responsabili di azioni di
microcriminalità. I mass media parlano sempre più di baby gang quando riportano episodi di furti
ed aggressioni attuati da gruppetti di adolescenti a danno dei loro coetanei.
Se si analizzano le caratteristiche di questi gruppi giovanili si scopre facilmente che, in realtà, non
si tratta di bande. “Quindi, anche se tra i giovani italiani la devianza di gruppo è molto frequente,
non si può parlare, però, di vere e proprie gangs. Il riunirsi di adolescenti in baby gang è, pertanto,
la risultante di un insieme di azioni che spesso sono persistenti e mirano deliberatamente a fare
del male e/o a danneggiare chi ne rimane vittima. Alcune azioni offensive avvengono attraverso
l’uso delle parole, per esempio minacciando od ingiuriando; altre possono essere commesse
ricorrendo alla forza o al contatto fisico: schiaffi, pugni, calci o spinte. In altri casi le azioni offensive
possono essere condotte beffeggiando pesantemente qualcuno, escludendolo intenzionalmente
dal proprio gruppo”. Talvolta vengono presi come esempio i modelli proposti dalle serie televisive
(Squid Game, La casa di carta), dai videogames (Fortnaite e affini), dalla musica (Lazza con
“Uscito da galera” o Baby Gang con “Paranoia”). L’intento è quello di amplificare, divulgandoli sui
social, i loro gesti violenti. Quel mix di rabbia e disagio che spinge all’affiliazione al gruppo,
attraverso il quale i ragazzi possono esprimere la loro rabbia, molto spesso si sviluppa in contesti
familiari privi di mezzi e multiproblematici. Tuttavia, sempre secondo il report del Servizio analisi
criminale: “si registra anche la presenza di gang i cui protagonisti appartengono a famiglie di rango
sociale elevato; in tali casi, al contrario, l’ambiente ‘non degradato’ ma assolutamente ‘agiato’ li
spinge a tenere comportamenti connotati da elevata prepotenza ed arroganza per sconfiggere la
noia della routine giornaliera e del benessere ed attirare su di sé l’attenzione degli adulti, talvolta,
genitori non molto presenti nel loro percorso di crescita”.
Occorre altresì rilevare che le baby gang si formano e si organizzano sul web. Il maggior ricorso
alla rete ha accresciuto i rischi di venire a contatto con contenuti di carattere illecito e di utilizzo
distorto dei vari social network, con la commistione di condotte delittuose on line. Quasi sempre
ognuno ha un ruolo e il gruppo compie reati contro i singoli o contro la città. Molto spesso la gravità
dell’atto commesso è ignorata dai ragazzi ed è molto frequente che di fronte alle violenze i genitori
o i ragazzi stessi dicano che si è trattato di una ‘ragazzata. Un importante psicologo sociale come
Albert Bandura sostiene che: “dare un significato positivo ad un’azione considerata reato è una
delle modalità con cui si esprime il disimpegno morale. Intendendo la possibilità per l’individuo di
non sentirsi responsabile dell’azione commessa, mettendo così a tacere il contrasto tra
comportamento agito e standard morali. È come se il reato nascesse improvvisamente senza una
progettazione reale”. Peraltro, la tecnologia favorisce la condivisione. E questa aumenta la portata
e alimenta maggiormente gli animi. Si cerca intenzionalmente la popolarità; quindi, si cerca
un’ulteriore sfida, una condizione che fa sentire i ragazzi ancora più potenti. Tutte queste
aggressioni vengono riprese attraverso gli smartphone e condivise nelle varie chat e i profili social.
Ormai anche le gang si sono digitalizzate e, spesso, condividono le loro gesta sui vari social media
creando gruppi appositi che fungono da rinforzo e condivisione di condotte delinquenziali. Talvolta
gli adolescenti utilizzano questi canali per rendere direttamente pubblico il loro operato, anche

come sfida aperta alle autorità, per essere rinforzati dai ‘mi piace’ della rete che li rendono ancora
più onnipotenti.
Le baby gang ruotano intorno al meccanismo della deresponsabilizzazione e dell’effetto branco
perché nel gruppo è come se ci fosse una divisione della responsabilità, la condivisione di ciò che
viene fatto aumenta anche la portata e la potenziale gravità delle azioni commesse. Ci si sente
meno colpevoli e ciò che viene fatto in gruppo con elevata probabilità non si farebbe mai da soli.

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