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Editoriali

Ugento che cambia, vuole cambiare. Ma non cambia

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ugento che non cambia
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Ieri sera, come mia abitudine per addormentarmi guardo un po’ la TV, per l’anniversario di Paolo Borsellino è stata trasmessa una fiction interpretata, tra gli altri, dal bravo Giorgio Tirabassi. Il susseguirsi delle scene e lo scorrere delle immagini mi hanno da subito portato a fare delle considerazioni, riflettendo e ponendomi delle domande in una sorta di colloquio con me stesso. 

Perché gli ugentini sono silenti, mentalmente rinchiusi nel limbo di una soffocante insensibilità verso se stessi e verso gli altri; pronti alla critica a prescindere, al pettegolezzo, a dare giudizi privi di fondamento, a sproloquiare senza senso per il solo scopo di etichettare le persone? Perché dinanzi ad alcune evidenti situazioni di sperpero di denaro pubblico, di danno ed inquinamento del territorio non alzano lo scudo della protesta, della ribellione civile e dello sgomento? Perché si sono assiepati nei propri spazi di pensiero, limitandosi a scribacchiare solo sui social dove comunicano senza comunicare? Perché, da diversi anni ormai, non si aprono alla partecipazione civile e democratica della nostra comunità, non limitandosi quindi al solo mese della campagna elettorale, dove sembra di assistere più ad un’arena dove si starnazza più che confrontarsi attraverso un serio dibattito politico? Perché non esigono che i lavori di tutti gli organi comunali siano improntati ad un sano confronto democratico? Che sia trasparente e sempre disponibile?  Perché dinanzi a cotanto vuoto democratico, e soprattutto istituzionale, non è sentita l’urgenza di scendere in piazza per far sentire la loro voce e quella di quei cittadini che non hanno voce, per combattere quelle battaglie di civiltà che vanno combattute? E’ grave per il presente e lo è ancor di più per il futuro che la nostra comunità vada via via strutturandosi in quella forma antropologica che Antonio Gramsci definiva “indifferenti”. Ebbene, diceva il filosofo sardo:

“L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?”.

Vorrei spronare la comunità messapica a porsi queste domane; a  percepire meglio, a sentire più convintamente e profondamente che noi ugentini dobbiamo iniziare a sentirci popolo. Non un oggetto da conquistare o da (ab)usare per fini personali, ma un soggetto che, semmai, pone dei limiti al potere, che ispira il principio del bene comune, che si traduce sostanzialmente nella crescita e nel progresso sostenibile di tutti. In questa cornice si innesta la libertà intesa non in senso fisico, materiale, come, ahimè, molti potrebbero pensare. Intendo libertà di scegliere, di pensare, di parlare, di confrontarsi, di avere il coraggio delle proprie opinioni. Essere liberi dalle catene del pensiero unico locale degli ultimi anni. Essere capaci di distaccarsi dal clientelismo della contiguità e del compromesso morale. Le grida mute di taluni, unite alle assenze temerarie di talaltri, che talvolta sembrano abbaiare alla luna ed altre volte si limitano a ciurlare il manico, il tutto contornato da atteggiamenti dispotici 3.0. altro non sono che il contorno di un modo per soffocare costantemente e scientemente le coscienze di ogni ugentino, fossilizzato nell’incapacità di pensare altrimenti. 

La libertà, come ricorda Don Luigi Sturzo, richiede una perenne vigilanza: i colpi di sonno sono sempre in agguato. Il popolo, a volte, sonnecchia. Purtroppo noi ugentini sonnecchiamo da anni. Forse perché ci piace o perché ci fa comodo, ma prima o poi dovremo svegliarci. E se fino ad oggi abbiamo conosciuto il prezzo di tutto, siamo ormai limitati al valore del nulla.  

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