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Lavoro ed Economia

L’evoluzione digitale del sistema mafioso

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L’evoluzione digitale del sistema mafioso
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Lo scorso 9 maggio, presso la Camera dei deputati, la Fondazione Magna Grecia ha presentato un interessante ed “innovativo” rapporto dal titolo “Le mafie al tempo dei social”. Il dott. Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Catanzaro, ha evidenziato che: “Le mafie sono lo specchio della nostra società e si sono evolute per stare al passo con i tempi, mutano con il mutare sociale”. Accanto alla criminalità organizzata che chiede il pizzo, si accompagna quella più evoluta, che vive, seduta nei salotti e nei ristoranti accanto a dirigenti in giacca e cravatta. 

Questo studio nasce con un quesito: come è cambiata la comunicazione delle mafie oggi che il mondo virtuale è entrato prepotentemente nella nostra vita reale? 

La rivoluzione digitale ha determinato un cambiamento radicale nel modo di comunicare delle mafie che, in maniera graduale, hanno ricalibrato il loro codice di riferimento: oltre alle parole, la mafia oggi si nutre di segni grafici, foto, trend e tracce sonore. I social network (Facebook, YouTube, Twitter, Instagram e TikTok) si sono impadroniti della rete, dei nostri computer e dei nostri smartphone al punto tale da essere riusciti a generare una dimensione osmotica in grado di assicurare una nuova forma di integrazione immateriale nel mondo reale. Le organizzazioni criminali, al pari ormai di ogni realtà sociale, singola od organizzata che sia, necessitano di “raccontarsi” e quindi di “collocarsi, etichettarsi” in quei perimetri sociali ove possono distinguersi attraverso i post di denuncia dell’antimafia sociale: se gli esperti prima interpretavano il fenomeno organizzandone il racconto, ora si può assistere direttamente al reality show delle mafie semplicemente aprendo le nostre app e selezionando il flusso di contenuti suggeriti dagli algoritmi. O ancora, seguendo i trend virali degli hashtag o di determinati generi musicali.

Tutti i giorni, ognuno nella propria quotidianità può facilmente rendersi conto di quanto il linguaggio comune sia cambiato e soprattutto si sia adattato al lessico e all’interattività dei social. Quante volte al giorno diciamo ad un amico o ad un collega: “aspetta, adesso ti taggo, oppure condivido; o ancora ringraziamo con una faccina, etc.”. Una forma di adattamento che è stata praticata anche dalla criminalità organizzata, dacché l’interessante ed innovativo studio si pone l’obiettivo di definire i contorni e i contenuti delle modalità con cui le mafie oggi vengono raccontate e comunicano nel mondo digitale. 

Anche i sodalizi criminali comunicano attraverso le emoji che assumono un significato diverso a seconda del contesto. Qualche esempio? Il leone: coraggio e forza; le catene: carcere e vincolo affettivo; il cuore nero: lutto, tristezza, malvagità; la siringa con la goccia di sangue: fratellanza. Sono tutti modi alternativi, meno tracciabili dall’algoritmo ma ben riconoscibili dai destinatari, che connotano la scelta dei contenuti pubblicati. Foto, frasi e citazioni unite agli emoji riscrivono il linguaggio virtuale della mafia, creando un nuovo gergo criminale digitale. Non solo, in un’eterna contrapposizione “noi-loro”, l’appartenenza o la simpatia verso un clan, si dimostra indossando vestiti della stessa marca, spesso della linea streetwear, esibendo i medesimi accessori, ascoltando le stesse canzoni, usando gli stessi emoji, meme, hashtag.

È evidente che se il mondo cambia, con esso, inevitabilmente, cambia anche il fenomeno mafioso. La rapidità e la profondità del cambiamento del primo, da sempre, sono andati di pari passo con le trasformazioni che hanno in qualche modo influito sul secondo. E questo, tanto più oggi che l’entità e la celerità degli impatti di un progresso tecnologico a dir poco tumultuoso, incidono in modo così marcato e pervasivo sul modo di vivere, di lavorare, di relazionarsi e sulla quotidianità di ciascuno di noi. 

Tim Bernes Lee, colui che ha inventato il web, ha sostenuto che la rete non rappresenta una trasformazione tecnologica, ma una vera e propria trasformazione sociale, dove cioè la parola d’ordine è “condivisione”. Termine più opportuno a fronteggiare le nuove sfide poste da un mondo sempre più in bilico tra realtà analogica e virtualità digitale.

Peraltro, emerge ormai una “terza” dimensione: “l’interrealtà”, uno spazio laddove si mescolano le esperienze sia dell’una che dell’altra. Nell’uso quotidiano del linguaggio, non possiamo fare a meno del verbo “condividere”, che definisce l’azione sociale di “mettersi in relazione con gli altri”, tra le più efficaci sul piano della conservazione dei caratteri di reciprocità e di dialogo all’interno di un’area sociale sempre più interattiva. Momento quindi di “costruzione del sé”, anche nel proprio contesto di riferimento, in un inesauribile scambio tra apparenza ed essenza (immagine che ognuno di noi ha di sé nei vari contesti sociali in cui è immerso, espressione di specifici punti di vista e prospettive, legato allo sviluppo cognitivo del soggetto e alle differenti esperienze che egli affronta nel corso della sua vita e in relazione con gli altri).

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