Ambiente e Territorio
L’estate di un bambino. I ricordi di un mare che non c’è più
Alcuni giorni fa, mi è capitato di ritornare a guardare quello scenario, piuttosto suggestivo, che si intravede salendo sulle dune che sovrastano località “Pazze”, da cui peraltro è possibile ammirare quell’isolotto simile ad una grande balena che tante volte ho toccato e percorso in lungo e in largo. In quelle acque, lucenti e trasparenti, ho trascorso tutta l’infanzia e parte dell’adolescenza. Ecco allora che fermandomi per qualche istante, sedutomi su una piccola pietra, richiamato non so da che cosa e da quali voci lontane, mi sono fermato per qualche attimo. Ho chiuso gli occhi e per magia ho rivisto velocemente la pellicola del film in cui ho intravisto gli guardi, i gesti, i movimenti, i sorrisi di tante persone che non ci sono più, che tante estati hanno vissuto in questa nostra località.
Oggi tutto è cambiato! Tutto è (o sembra) diverso! Vi è una mescolanza di genti che vivono quella parte di territorio non sapendo o non conoscendo tante particolarità che io da bambino irrequieto e vivace ho vissuto in gioiosa spensieratezza. Rifuggono i ricordi di un tempo vissuto in un mare che non c’è più. Ho ripensato a tutte quelle volte in cui, accompagnato a fare il bagno dai nonni, venivo sistematicamente intimato ad uscire dall’acqua. Non volevo mai uscire perché mi sentivo in paradiso in quelle acque fresche e profumate. Oggi ammetto che lo facevo anche per dispetto. Di tanto in tanto scorgevo qualche conoscente che entrava in acqua con maschera, pinne, un uncino ed una cassetta di legno con attaccate delle bottiglie di plastica per farla galleggiare, in cui metteva i ricci che raccoglieva sul fondale roccioso. Allora questa specie padroneggiava quelle scogliere che oggi sono deserti. Incuriosito, mi avvicinavo per vedere come venissero raccolti. Cercavo di capire la tecnica per poi metterla in pratica allorquando sarebbe stato il tempo giusto per me.
Le lunghe nuotate dalla riva alla “grande balena” avevano una forza autorigenerante, favorita dal sole e dal caldo estivo. Proprio come superman, che prende forza dal sole, mi sentivo invincibile nell’andare e tornare da quello scoglio. Ogni volta che mi allontanavo e mi riavvicinavo avevo la sensazione di entrare in una sorta di estasi che tuttora non riesco a descrivere. Era per me una cosa talmente bella da non poter essere spiegata con delle semplici parole. Preferisco ricordarla e riviverla, anche se purtroppo non è la stessa cosa. Erano belli quei tempi d’estate. Ci si divertiva un sacco pur non avendo playstation, giochi elettronici e soprattutto cellulari. Non si andava molto al parco giochi. La sera si cenava tutti insieme con la classica frisa salentina. Talvolta si arrostiva un po’ di carne oppure del pesce fresco. Erano belli quei pomeriggi in cui si celebrava il break con una menta od un’orzata servita in ghiaccio. Oppure del caffè, sempre in ghiaccio, che ho sempre odiato, pensando (e continuo a pensare!) che sia una bevanda da bere esclusivamente calda.
C’erano dei giorni in cui, nel fine settimana soprattutto, giungevano dal paese i nonni materni. Inevitabilmente e puntualmente sporco di terra per le strade sterrate (non c’erano l’asfalto, la fognatura e l’illuminazione pubblica!), sempre buttato in quei terreni inedificati vicino alla mia casa, riuscivo a sentire il rumore di un’ape. Allora rizzavo le orecchie e dopo qualche attimo, portando lo sguardo verso la strada mi accorgevo che erano i nonni che a bordo del loro ape giallo stavano per arrivare nella nostra casa in via Generale La Marmora. La gioia era immensa. La felicità sublime perché capivo subito che si sarebbero fermati da noi per qualche giorno. Capitava poi che nel periodo dei pomodori, insieme a loro arrivassero anche le attrezzature e la materia prima per la “salsa” stagionale. Allora si che era una festa perché sapevo che sarei stato accanto al nonno nei preparativi e nell’organizzazione dei lavori: pentoloni, accensione del fuoco, spremitura, passatura e bollizione delle bottiglie con la famosa tecnica del “a bagno Maria”.
Sono ricordi di un passato che non c’è più, ma che custodisco gelosamente dentro di me. E sono convinto che molti di coloro che leggeranno questo articolo rivivranno le mie stesse sensazioni. Che è poi il motivo principale per cui ho voluto scriverlo. Per iniziare a fare la salsa ci si alzava molto presto. Ricordo che i nonni dicevano che iniziando presto si poteva lavorare bene con “il fresco”. Infatti, all’incirca verso metà mattinata, le bottiglie già bollivano e ci si preparava per andare al mare. Si ritornava per pranzo. Si stava tutti insieme, con il ritualismo finale del taglio dell’anguria per poi dedicarsi all’altrettanto rituale pennichella pomeridiana. Dormivo con il nonno che per addormentarmi raccontava sempre la fiaba (di sua invenzione!) della “conca spirlonca”.
In quei pochi attimi a guardare la bellezza di “pazze” è stato come rivivere tutti questi momenti. Ricordare eventi e simboli che mi hanno aiutato a crescere, insegnandomi quanto sia prezioso un contesto familiare sano in un ambiente marino costiero straordinario come quello che noi tutti ugentini abbiamo la fortuna di avere e che dobbiamo custodire e proteggere.
Diceva Albert Einstein che la memoria è l’intelligenza degli idioti.
A me piace molto sentirmi un idiota, perché la memoria mi aiuta a rivivere un mare che non c’è più. Il che mi fa sentire bene. Mi fa sognare. Mi aiuta a rivedere quelle tante persone che non ci sono più, alle quali voglio rimanere legato per sempre.