Editoriali
I momenti di comunità che aiutano a crescere
Alcuni giorni fa ho scritto della Festa dei nonni. Un po’ per nostalgia, un po’ perché mi mancano i miei nonni e soprattutto per ricordarli di quanto essi siano patrimonio dell’umanità. Un modo per ringraziarli della loro esistenza e della loro presenza nella nostra vita.
Oggi voglio cambiare argomento. Provo un po’ di invidia verso i nostri bambini che in questi giorni stanno avendo l’opportunità di vivere insieme ai propri “tesori” magnifiche esperienze di vita vissuta, di comunione familiare e di scambio di valori generazionali. Ai miei tempi non c’erano queste iniziative, ragione per cui è necessario esprimere il plauso ed un sentito ringraziamento alla Biblioteca di Ugento e all’Amministrazione comunale che con un lavoro di squadra si sono impegnati nella realizzazione di iniziative culturali importanti nell’intento di “fare comunità facendo cultura”.
Da sociologo, mi pare di poter cogliere un filo conduttore nelle manifestazioni che si stanno svolgendo in questo mese di ottobre. Dal “Giochiamo con i nonni” al “Nonno raccontami una storia”, passando per “Il giardino delle storie” e “Mai più senza libri” fino ad arrivare ai laboratori e al “Giardino di Rodari”, l’elemento che accomuna e sistematizza questo “susseguirsi insieme” non può che essere la riscoperta del senso di comunità, dell’appartenenza, quindi di nuova “interiorizzazione” strutturale di sentimenti, di valori e passioni attraverso la riscoperta della tradizione. Si lascia da parte la freddezza, il distacco, se non addirittura la liquidità, direbbe Bauman, delle interrelazioni digitali. Chiarendo meglio questo concetto della teoria sociale è possibile sostenere che manifestazioni così pensate e realizzate possano costituire le giuste perimetrazioni di quel nostro futuro in cui dovrà e potrà crescere il cittadino del mondo.
Si sono riscoperte, a mio avviso, quelle relazioni a carattere legante basate evidentemente sull’interazione sociale, sul parlarsi guardandosi negli occhi, scambiandosi emozioni, sguardi e gesti veri ed umani, che ridiventano continuamente simboli essenziali del vivere quotidiano. Evidentemente e tendenzialmente celati dietro le nostre dita che coadiuvate dallo sguardo rivolto sempre più verso il basso e sempre meno verso l’alto e l’altro, sono automaticamente propense a perdersi su piccole o grandi tastiere che svuotano il principale attore sociale, che è l’essere umano. Si è sviluppato un nuovo percorso, e credo che su questo la nostra comunità, nel riacquisire la forza ed il pregio di “sentirsi popolo”, debba continuare ad investire e a lavorare per evitare pericolosi conflitti, proteggendo quei fattori che gli studi criminologici evidenziano essere, qualora delegittimati e indeboliti, causativi soprattutto in età adolescenziale di fenomeni di dispersione scolastica, devianza e micro e macro – criminalità. Molto spesso proprio perché vengono a mancare dei sani punti di riferimento familiari, comunitari, scolastici, culturali e sportivi i bambini ed i ragazzi tendono ad assorbire disequilibri sociali, quasi anomici, che li portano potenzialmente ad essere e soprattutto a sentirsi isolati, “solitari nella notte”, incapaci di acquisire, sviluppandolo, un senso identitario, di socialità e di sociazione, di appartenenza comunitarista.
“Mai più senza libri” è un’iniziativa che condivido in maniera incondizionata. I libri sono la ricchezza umana e culturale da cui nessuno può prescindere. Indipendentemente da una passione per la lettura, libro non vuol dire solo lettura del Manzoni, di Platone, di Orwell, di Pansa, di Carofiglio, etc. Vuol dire anche lettura di un articolo di giornale, di un testo su TikTok, Instagram, Facebook, etc. Ecco il lato positivo della tecnologia digitale. Significa sostanzialmente vivere umanamente un’emozione, compiendo una sorta di viaggio in uno spazio senza limiti e senza tempo. Non a caso, proprio Sant’Agostino diceva che il mondo è come un libro e chi non viaggia ne conosce una pagina soltanto. Fondamentale peraltro è la riproposizione del grande Gianni Rodari, che con la sua “grammatica della fantasia”, ha vitalizzato una vocazione pedagogica e l’impegno civile attraverso la scrittura per l’infanzia antiautoritaria, basata sul divertimento e sulla libera partecipazione del bambino alla fase dell’invenzione fantastica. Se ci fermiamo un attimo a riflettere, non possiamo non essere d’accordo con il pedagogista piemontese. L’insegnamento è certamente l’atto dell’insegnare, cioè trasmissione di nozioni all’alunno; ma deve essere anche l’educarlo ad essere persona migliore, sviluppando quella creatività da intendersi giammai come gioco e divertimento allo stato puro, in quanto accompagnata da regole dettate dalla ragione e dal buon senso.
Eventi come questi devono servire a trovare la forza e il coraggio di lottare per costruire un mondo migliore, supportato degli adulti a cui è demandato il compito di stimolare la fantasia con quegli strumenti essenziali a far emergere la creatività. C’è la possibilità di percorrere la strada di una sistematizzazione dei processi scolastici e di crescita con cui si possa crescere ed evolvere culturalmente e socialmente, ma occorre impegnarsi per creare momenti come questi in cui sotto l’ombrello dell’agenzia di socializzazione primaria, quale la famiglia, che deve ritornare ad avere il suo ruolo, si innestino le agenzie secondarie quali la scuola, la cultura, un’Amministrazione comunale attenta, “adulti” che portino disinteressatamente le proprie esperienze di vita vissuta.