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Attualità

Identità, storia e passione con la pizzica

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L’etnografia è una disciplina che ci aiuta a comprendere la cultura di un popolo. Studiando comportamenti, artefatti, riti, rituali, cerimonie, norme, valori, credenze, l’etnografo rende comprensibile la cultura di una determinata comunità residente in una specifica realtà territoriale. Etnografia, dal greco: ethnos – “popolo”, e grapho – “scrivere”, è letteralmente la “descrizione del popolo”. Per Marcel Griaule, se con l’etnografia è possibile registrare informazioni su diversi popoli, con l’etnologia è possibile costruire dei sistemi coerenti utilizzando le descrizioni etnografiche.

Nel fantastico scenario di via Messapica, il concerto del nostro gruppo musicale “I Calanti”, costituisce il classico esempio di sintesi tra folklore, identità, storia, tradizione e costumi. Ancora una volta un meritato plauso va rivolto ai nostri bravi “artisti popolari” che con la loro musica sono riusciti a fare molto di più che allietare una serata natalizia in cui “essere morsi” dalle note e dal canto poteva essere l’unico stratagemma per non sentire il freddo pungente di questo tempo di festa. Oltreché sul palco, al ritmo scansionato dal tempo della storia e della tradizione, gli strumenti musicali del gruppo ugentino ed i movimenti pizzicati dei ballerini hanno fatto vivere un bel momento di convivialità, spensieratezza e serenità. Qualche coppia ha anche aperto dei piccoli sipari di “usanza e costume” regalando momenti di puro svago alla riscoperta di un tempo che trascorre inesorabile.  

L’introduzione al volume “Il tarantismo: un fenomeno al confine tra rito e psicopatologia”, presentato peraltro l’estate scorsa presso il nostro museo, riassume perfettamente quel fenomeno tipico della cultura popolare della nostra terra salentina. Basato sulla credenza popolare, attribuisce al morso della tarantola, mitico ragno velenoso, un particolare stato morboso da cui si può essere liberati tramite la musica, la danza, i colori e l’intercessione di San Paolo. Come sottolinea l’autore De Martino, il tarantismo ha radici antiche, propagatesi sino ai nostri giorni; sebbene il ragno non morda più, sopravvivono nelle campagne contadini che sono stati “tarantati” e non mancano all’appuntamento a Galatina, il giorno di San Paolo, il 29 giugno, per pregare il loro santo punitore e salvatore. Da qui: “Santu Paulu meu te le tarante!”.

Il fenomeno del tarantismo nasce e si sviluppa nel mondo culturale contadino dell’Italia del Sud, caratterizzato da una filosofia di vita in cui magia e religione si sono fuse. Secondo l’antropologo napoletano, l’elemento costante di sfondo di tale filosofia è rappresentato dalla fascinazione, che definisce come “una condizione psichica d’impedimento e d’inibizione, un essere agito da una forza potente e occulta che lascia senza margine l’autonomia della persona, la sua capacità di decisione e di scelta. La fascinazione comporta un agente fascinatore e una vittima e, se l’agente è un essere umano, si tratta di malocchio, cioè di un’influenza maligna proveniente dallo sguardo invidioso. L’esperienza di dominazione può arrivare sino al punto che una personalità aberrante invade il comportamento ed il soggetto non sarà più un fascinato, ma uno spiritato“. La possibilità magica di fascinare ed essere fascinati può coinvolgere, a qualsiasi età, tutte le sfere della vita, soprattutto quelle affettive e sessuali. Ed è ciò che succede da tempo immemore nella nostra comunità.

Il concerto di ieri sera dei “I Calanti” ha manifestato l’ostinata sopravvivenza di tali credenze in una comunità ove sono presenti strati sociali diversi, che si giustifica dalla persistenza di un pensiero di tipo magico, che si illude di controllare in modo onnipotente l’altro e le vicissitudini della vita. La nostra cultura “rurale” è profondamente intrisa di elementi magici e mitologici. La nostra terra del sole vive una vita delle persone scandita da una ciclicità programmata che determina la cadenza di ogni evento, fosse esso amore, morte, salute, raccolto o vecchiaia. Anche un concerto può magicamente portare ad acquisire un codice conoscitivo, evidentemente riscoprendolo, che giustifica il nostro essere ugentini e geminiani, salentini, abitanti di un luogo straordinario. 

È cambiata la società. Sono cambiate le persone. Ma le tradizioni e l’essere popolo attraverso i simboli dell’identità storica e valoriale, da difendere giornalmente con il proprio impegno civico e sociale, da vivere e rivivere con la musica popolare, è un’ancora di salvezza da custodire e valorizzare. Fondamentale per “rianimarsi” e “risocializzarsi” in un tempo in cui per varie cause endemiche l’anomizzazione è frequente, consci della propria storia per non dimenticare chi siamo, da dove veniamo e capire dove vogliamo andare, anche con la passione della musica.

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