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Cronaca

Noleggiava ombrelloni sulla spiaggia libera: gestore balneare condannato

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La spiaggia libera deve rimanere tale, anche se gli ombrelloni vengono rimossi a fine giornata. È questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione in una recente sentenza che ha confermato la condanna a quattro mesi di arresto per un gestore balneare pugliese, colpevole di aver occupato abusivamente il demanio marittimo.

La vicenda si è svolta sulla costa salentina, precisamente a San Giovanni, nel comune di Ugento, dove il gestore di un noto lido locale aveva allestito due vere e proprie appendici al suo stabilimento balneare, occupando illegalmente 672 metri quadrati a nord e 711 a sud della sua area autorizzata.

L’operazione della Capitaneria di Porto di Gallipoli, condotta all’alba del 29 luglio 2020, ha colto sul fatto un dipendente del lido mentre completava l’allestimento di un’impressionante distesa di attrezzature balneari: 110 ombrelloni, 75 lettini, 6 sdraio e 23 sedie, il tutto completato da due pali dotati di fari per l’illuminazione serale. Un’organizzazione tutt’altro che improvvisata, come ha sottolineato la Corte nella sentenza n. 4149 del 31 gennaio 2025.

La difesa ha tentato di giustificare l’occupazione sostenendo di possedere una SCIA regolare per il noleggio di attrezzature balneari e che gli ombrelloni erano stati prenotati da alberghi convenzionati. Ha inoltre insistito sul fatto che le attrezzature venivano posizionate poco prima dell’arrivo dei clienti per evitare assembramenti e rimosse a fine giornata. Ma questi argomenti non hanno convinto i giudici della Suprema Corte.

“Non è possibile equiparare questa attività a quella dei normali fruitori della spiaggia libera”,

hanno stabilito i magistrati, evidenziando due elementi chiave: la continuità dell’occupazione e la sua natura commerciale. La Cassazione ha infatti rilevato come l’allestimento completo dell’area nelle prime ore del mattino, in totale assenza di clienti, e il numero sproporzionato di attrezzature rispetto alle prenotazioni effettive, dimostrassero la volontà di occupare stabilmente lo spazio pubblico.

Particolarmente grave è stata considerata l’installazione dei pali per l’illuminazione, infissi nel cemento e quindi non rimovibili, che hanno contribuito a far respingere la richiesta di oblazione, ovvero la possibilità di estinguere il reato attraverso il pagamento di una somma di denaro. A pesare su questa decisione anche i precedenti penali dell’imputato, tra cui uno specifico per reati analoghi.

La sentenza si inserisce in un filone giurisprudenziale consolidato: già in passato la Cassazione aveva condannato pratiche simili nei casi Pazzaglia (2006), Sorreca (2018) e Farci (2011), stabilendo che l’occupazione del demanio marittimo costituisce reato anche quando temporanea, se finalizzata ad attività commerciali che impediscono la libera fruizione della spiaggia.

La sentenza arriva in un momento cruciale per il settore balneare italiano, già al centro di dibattiti per la questione delle concessioni demaniali, e ribadisce l’importanza di un equilibrio tra servizi turistici e libero accesso al mare, diritto costituzionalmente garantito.

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