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Ambiente e Territorio

L’indifferenza tra fiamme e crimine

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Non prendiamoci in giro, suvvia! Le fiamme devastanti delle ultime ore confermano l’esistenza di un disegno criminoso che mira ad inferire su un corpo ormai esangue. Altri ettari di boschi, flora e fauna sono stati cancellati. Sono divenuti cenere, portata via dal vento e tappeto nero, peculiarità monocromatica che certifica un paesaggio che non esiste più. Gli incendi sono flagelli sociali dalle cause esclusivamente umane. L’erba secca non si autoincendia! La pratica di appiccare incendi è una condotta criminale che trova la ragion d’essere in una molteplicità di ragioni: vandalismo, vendette personali o contro gli enti pubblici, interessi economici legati alle speculazioni edilizie e/o guadagno rapido attraverso il rimboschimento e i contributi pubblici (statali e comunitari). L’azione criminale di “appiccare il fuoco” può essere eseguita rapidamente, senza lasciare tracce, rendendo difficile agli inquirenti l’attività di ricerca e di individuazione dei responsabili. 

Questa mattina, un collega mi ha fatto notare una riflessione pubblicata sui social da una concittadina. È realistica e stimolo per tutti ad una riflessione che ben si staglia sull’attualità delle piaghe sociali e ambientali di queste infuocate giornate. “Ugento brucia tra il fuoco vero e quello subdolo … quello dell’indifferenza”, scrive costei. “L’indifferenza di chi potrebbe fare ma sceglie di non farlo, di chi guarda, commenta, ma non agisce. L’indifferenza è scegliere di colorare la nostra terra di grigio, è scegliere di lasciare l’impronta del nostro passaggio su cumuli di cenere…”, prosegue poi. È proprio sul concetto di indifferenza, tipica di noi ugentini che vorrei soffermarmi. 

Gramsci e Moravia lanciano messaggi diversi nella forma, ma simili nell’obiettivo sociologico. Nel suo “Odio gli indifferenti” l’intellettuale comunista asserisce che “Vivere significa partecipare e non essere indifferenti a quello che succede” per cui “chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano” perché “l’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita”. Nel “Gli Indifferenti” invece per lo scrittore romano è necessario rendere realista la meschinità e le ipocrisie di una società, come quella borghese, inautentica, convenzionale, sdoppiata falsamente da ciò che ciascuno pensa e da ciò che viene detto, in un clima di costante menzogna. L’indifferenza è il vero delitto perché “quando non si è sinceri bisogna fingere, a forza di fingere si finisce per credere; questo è il principio di ogni fede”. Ahimè, noi ugentini siamo diventati questo. Dobbiamo riconoscerlo! Che cosa dovremmo fare? Che cosa possiamo fare? 

Intanto necessita una presa di coscienza della distruzione in atto, ambientale e culturale. È il primo passaggio per tracciare i solchi direzionali che vogliamo percorrere. Capire se vogliamo percorrerli verso un futuro di una bellezza da ricostruire e rifondare oppure un paesaggio amorfo, riluttante, vuoto e simbolicamente insignificante, ove si deumanizza e disumanizza. Bellezza è ricchezza, innestata in un bene inestimabile, sintesi di identità, storia, appartenenza, tradizione, valore ecologico e ambientale, sociale ed economico. Occorre poi plenariamente “chiamare alle armi” tutti gli ugentini e geminiani di buona volontà che abbiano a cuore la rinascita materiale e immateriale del territorio, della sua gente e delle sue potenzialità. Rialzare la comunità attraverso la condivisione, quella vera, ed il protagonismo, quello partecipante, che riescano a trascinare in sani e trasparenti processi di democrazia ambientale le professionalità e le competenze talvolta messe al margine; l’amor proprio, il senso di responsabilità e di appartenenza, la passione per la madre Terra. Deve nascere una visione strategica di futuro che sappia coniugare la crescita con lo sviluppo sostenibile, infondendo come è stato giustamente evidenziato, fiducia nei giovani e nei meno giovani. Bisogna spegnere il fuoco devastante di questi giorni. Combatterlo sul fronte della prevenzione e dell’organizzazione del sistema di risposta, della repressione delle condotte criminali e della consapevolezza del valore dei beni comuni da cui traiamo sostentamento. Non rimane che accendere la fiamma della speranza per rivitalizzare il settore agricolo a che ritorni ad essere spinta sociale e traino produttivo, forza rigenerante di un’area martoriata, vessillo di fierezza e grandezza, fucina di creatività tecnologica e governance. Si può fare, anzi si deve fare!

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