Lavoro ed Economia
Crisi del turismo: serve un nuovo modello, non nuovi colpevoli

Il Salento è finito sotto accusa. Ancora una volta. Ma quest’estate l’eco è stata più forte che mai, sospinta da influencer e volti noti, come Pinuccio e Alessandro Gassmann, che hanno rilanciato a colpi di social una teoria tanto semplice quanto populista: il problema sono i prezzi. Un refrain che ha finito per scaricare la responsabilità del crollo turistico su una sola categoria: i gestori dei lidi balneari. Ma la realtà, come sempre, è molto più complessa.
Quella del 2025 sarà ricordata come l’estate del tracollo turistico salentino. Lo si vede nei ristoranti semivuoti, nei viali delle marine meno affollati, negli alberghi che ancora a fine luglio cercano di riempire le camere con offerte last minute. Lo si legge soprattutto nei dati preliminari, che parlano di un calo delle presenze stimato tra il 30% e il 40% sulla costa ionica e in particolare a Ugento, un tempo fiore all’occhiello del turismo di massa pugliese.
Già lo scorso anno Ozanews aveva lanciato l’allarme, basandosi sui dati ufficiali della Regione Puglia, e anticipando un 2025 difficile. Un segnale chiaro che è stato ignorato da chi ha preferito usare i numeri come bandiere elettorali, anziché strumenti di pianificazione.
È troppo semplice dare la colpa solo ai prezzi. Sì, ci sono eccessi. Ma sono eccezioni, non la regola. Il problema va molto oltre il costo di un lettino o di una frisa. Serve un’analisi profonda e onesta, che tenga conto del momento storico che stiamo vivendo. Secondo il Censis, 6 italiani su 10 quest’estate hanno rinunciato alle vacanze. Un dato che racconta una crisi economica pesante del ceto medio, sempre più impoverito, sempre più attento a ogni spesa.
E anche chi ha deciso di partire per il Salento lo fa con maggiore prudenza e consapevolezza. Parliamoci chiaro: non è un turismo povero, è un turismo più attento, che non è più disposto a pagare 17 euro per una frisa con vista mare, né 10 euro per un panino riscaldato. E ha ragione.
Chi lavora bene, continua a lavorare
C’è chi, nonostante tutto, sta lavorando. E anche bene. Sono quelli che hanno investito in qualità, cura, professionalità, nell’accoglienza vera. Sono quelli che parlano almeno una lingua straniera, che ascoltano il cliente, che sanno cosa vuol dire fare turismo oggi. Il calo, per loro, è contenuto. Perché hanno capito prima degli altri che il turismo è cambiato. Perché il Salento non basta più venderlo solo con il mare. Occorre un’offerta completa, coerente, competitiva.
Chi invece ha preferito l’approssimazione, il “tanto vengono lo stesso”, chi ha puntato solo sulla rendita e ha trattato i turisti come numeri, oggi paga pegno. Eppure non era difficile prevederlo. Ma chi ha osato dirlo, un anno fa, è stato bollato come disfattista. Ora che la realtà presenta il conto, lo fa con una violenza economica e sociale che nessun post virale potrà giustificare.
Ugento è il caso più emblematico. Quello che dovrebbe far riflettere di più. Perché è proprio qui che si registrano i numeri peggiori, ed è proprio qui che le carenze strutturali e amministrative sono più evidenti.
Nonostante sia il comune con il più alto numero di presenze turistiche della provincia di Lecce, non esiste alcuna agenzia di promozione turistica, nessun piano strutturato, nessuna visione. Si incassano ogni anno 850.000 euro di tassa di soggiorno, ma nessuno sa realmente dove finiscono. Non in servizi, non in promozione, non in comunicazione. Solo in una miriade di iniziative estemporanee e poco incisive, spesso utili solo alla campagna elettorale del consigliere comunale di turno.
Nel frattempo, le attività commerciali chiudono, i giovani emigrano, le strade restano sporche, le marine senza decoro, le infrastrutture vecchie e scollegate. L’unico comparto produttivo alternativo, quello dell’agricoltura, è stato decimato dalla Xylella, lasciando l’economia locale in balia del turismo stagionale, sempre più fragile e imprevedibile.
Il turismo di massa è una trappola
E proprio Torre San Giovanni, emblema del turismo di massa, mostra i limiti di un modello basato sulla quantità e non sulla qualità. I grandi villaggi turistici, che un tempo erano motore economico, oggi trattengono i profitti e lasciano sul territorio solo le briciole. A fronte di migliaia di presenze, i piccoli esercenti non vedono un euro, mentre l’ambiente paga il prezzo in termini di spazzatura, traffico, consumo del suolo e degrado. Questo sistema non è più sostenibile.
Chi continua a dire che “abbiamo il mare” come se fosse una garanzia eterna, si sbaglia di grosso. Il mare non basta più. Servono idee, progetti, sinergie, formazione. Serve un piano serio di rilancio che parta da un’analisi onesta della realtà e da una regia pubblica capace di guidare e coordinare gli attori locali. Ugento ha le potenzialità per essere un esempio virtuoso, ma senza coraggio politico e visione strategica, continuerà a perdere terreno.
E nel frattempo, i social continueranno a urlare, i numeri a crollare, e il Salento a perdere quella magia che per anni lo ha reso grande.