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HIKIKOMORI: un fenomeno diffuso dal nome curioso.

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HIKIKOMORI un fenomeno diffuso dal nome curioso
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Potrebbe sembrare strano, ma molto spesso noi adulti non ci accorgiamo degli Hikikomori. Si tratta di quei giovani tra i 14 e i 30 anni che decidono di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi (da pochi mesi fino a diversi anni), chiudendosi in casa, senza avere alcun contatto diretto con il mondo esterno, a volte nemmeno con i propri genitori. Hikikomori è un termine giapponese che significa “stare in disparte”, coniato in Giappone nel 1998 dallo psichiatra giapponese Tamaki Saitō. Un termine che è sostanzialmente una fusione tra i verbi “ritirarsi” e “stare in disparte”. L’Italia è uno dei paesi, al di fuori del Giappone, in cui il fenomeno Hikikomori è più diffuso. 

In una recente ed interessante indagine dell’Eurispes condotta in 97 Istituti della Sardegna, è emerso che un giovane su cinque è stato vittima di cyberbullismo. I ragazzi in età scolare, ovvero tra i 15 e i 19 anni, nel parlare dell’argomento hanno dichiarato di distinguere nettamente tra identità reale e identità virtuale: gli atti persecutori non sono rivolti al compagno di scuola, ma alla sua “identità digitale”, come se non fossero la stessa persona.

Anche per genitori e docenti avveniva lo stesso processo di dissociazione tra identità reale e virtuale, come se fossero due mondi che camminano in parallelo e non coinvolgono gli stessi soggetti. Ebbene, se è vero che la scuola può far molto nell’intervenire prima che i ragazzi si ritirino dalla vita sociale, e che molti “ritiri” avvengono in relazione a bullismo in ambito scolastico, le responsabilità e le opportunità da cogliere da parte dell’istituzione scolastica sono evidenti. Con ciò non si vuole necessariamente collegare i due fenomeni – cyberbullismo e ritiro sociale – bensì evidenziare la necessità di avviare nelle scuole una comunicazione seria e strutturata con i ragazzi, e tra ragazzi, docenti e genitori. Sarebbe un modo per agire su fenomeni che possono spingere i ragazzi all’isolamento e alla condizione di Hikikomori, agire sui “disagi spia” prima che si manifestino in un ritiro sociale dal quale diviene poi difficile uscire.

Chiamati anche ragazzi “ritirati”, “eremiti dei tempi moderni”, gli hikikomori vivono un vero e proprio abbandono della socialità. Si tratta di un ritiro dal mondo, sia per quanto riguarda le attività scolastiche che extra scolastiche, per un periodo di tempo prolungato. I ragazzi hikikomori passano la maggior parte del loro tempo in casa o nella loro stanza, spesso isolandosi anche dalla famiglia. I ritmi di sonno/veglia sono stravolti, così come l’alimentazione e il movimento fisico, limitato agli spazi abitativi.

Sebbene l’Oms non classifichi il ritiro sociale grave come un disturbo a sé, vari ricercatori e psicoterapeuti sostengono che possano esserci correlazioni con altre psicopatologie, tra cui agorafobia, dipendenza da Internet e disturbo da ansia sociale. Altri lo ritengono un disturbo vero e proprio, classificabile come una forma nuova di depressione. Circa 54.000 studenti italiani di scuola superiore si identificano con una situazione di ritiro sociale. 

Uno studio condotto dagli Istituti fisiologia clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa documenta la presenza di circa 54.000 studenti italiani di scuola superiore che si identificano con una situazione di ritiro sociale. Le proiezioni parlano di circa l’1,7% degli studenti totali (44.000 ragazzi a livello nazionale) che si possono definire hikikomori, mentre il 2,6% (67.000 giovani) sarebbero a rischio grave di diventarlo. L’età che si rivela maggiormente a rischio per la scelta di ritiro è quella che va dai 15 ai 17 anni, con un’incubazione delle cause del comportamento di auto-reclusione già nel periodo della scuola media. 

Di questo fenomeno in Italia se ne parla sempre di più, benché sia ancora poco studiato. Spesso si tratta il ritiro come una conseguenza di depressione o dipendenza da Internet, psicopatologie alle quali esso è collegato ma che ne rappresentano più spesso l’effetto anziché la causa. Solo in anni recenti la convergenza di dati ed esperienze ha dato inizio a strategie di intervento e aiuto verso i ragazzi hikikomori e le loro famiglie, poiché molti psicologi ancora stentano a inquadrare il fenomeno e a trattarlo nella maniera opportuna.

Certo è che esso riguarda le società industriali ad alto tasso di competitività, dove alti sono i livelli di stress e di ansia sociale, e questo ne è sicuramente uno degli effetti più tangibili sui giovani. Gli hikikomori si allontanano da situazioni di sofferenza di vario tipo, trovando sollievo nella solitudine e nell’isolamento. Le motivazioni ambientali possono essere generate dallo specifico contesto sociale di appartenenza. I riscontri degli studi disponibili in letteratura evidenziano che il periodo più critico per i “ritirati”, sia quello in cui devono trovare il proprio posto nella società, scontrarsi o assoggettarsi alle sue logiche, al mondo del lavoro e degli adulti. Ecco che come comunità dobbiamo noi adulti sentire maggiormente questa responsabilità. Stare attenti a cogliere ogni segnale attraverso la presenza, l’ascolto, lo stare insieme, non lasciandoli soli sui social media e nell’uso delle tecnologie digitali.

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