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Lavoro ed Economia

Concessioni balneari e nuova procedura d’infrazione

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Tempo fa è stata affrontata la questione sulle concessioni balneari. Riprendendo una pronuncia del Consiglio di stato si evidenziò che una concessione demaniale è una limitazione dell’uso esclusivo di una parte di spiaggia, che è e rimane un bene pubblico, a favore di un soggetto privato che persegue su quella spiaggia finalità pubblicistiche per mezzo di un’organizzazione privatistica. Tradotto, questo principio significa che un’amministrazione comunale deve “bilanciare” le esigenze connesse al vantaggio per la collettività in ragione delle finalità pubbliche, per le quali il bene è concesso in uso ad altri, e gli effetti legati allo svantaggio che deriverebbe per la stessa collettività a causa della temporanea sottrazione del bene all’uso libero e generalizzato. Un uso appunto libero e generalizzato cui la spiaggia è naturalmente o potenzialmente destinata, dacché un comune costiero è legittimato a ritenere il libero utilizzo della spiaggia maggiormente utile per la collettività rispetto all’affidamento in concessione.

Nei giorni scorsi gli Uffici europei hanno inviato all’Italia una doppia lettera d’infrazione. Una sui balneari e l’altra sull’assegno unico.

Sul primo fronte Roma viene bacchettata per il mancato adeguamento alla direttiva Bolkestein per quanto riguarda il regime normativo che disciplina le concessioni di spiagge e arenili. Si può facilmente comprendere che la questione più annosa, e quindi di maggior interesse per la nostra comunità che vive, ora più che mai, di turismo balneare, sia proprio quella delle concessioni balneari che toccano (e preoccupano!) inevitabilmente gli interessi di chi ha investito e opera da anni sulle nostre spiagge.

Con il parere motivato dell’esecutivo europeo, che al momento tuttavia non è dato conoscere nei contenuti, l’Italia, una volta che lo riceverà, avrà a disposizione due mesi di tempo per rispondere e adeguarsi alle norme Ue.

Il portavoce UE così si è così espresso: “Abbiamo inviato un parare motivato sulle concessioni balneari italiane e questo dà ora al governo italiano due mesi per fornire risposte e allora decideremo sui prossimi passi. La nostra preferenza è sempre di trovare un accordo con gli Stati membri, piuttosto che andare in giudizio. È un parere motivato e non pregiudica le trattative continue che avremo con le autorità italiane”.

Puntualizziamo che la procedura entro cui si inserisce il già menzionato parere motivato è stata aperta nel 2020 con una lettera di costituzione in mora sul rilascio di autorizzazioni relative all’uso del demanio marittimo per il turismo balneare e i servizi ricreativi. L’Unione europea ritiene che le autorizzazioni, il cui numero è limitato per via della scarsità delle risorse naturali (ad esempio le spiagge), devono essere rilasciate per un periodo limitato e mediante una procedura di selezione aperta, pubblica e basata su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi. Nel 2016 la Corte di giustizia dell’Unione europea aveva stabilito che la normativa pertinente e la pratica esistente a quel tempo in Italia di prorogare automaticamente le autorizzazioni vigenti delle concessioni balneari erano incompatibili con il diritto dell’Unione. L’Italia ha prorogato le autorizzazioni vigenti fino alla fine del 2023 e ha vietato alle autorità locali di avviare o proseguire procedimenti pubblici di selezione per l’assegnazione di concessioni, che altrimenti sarebbero scadute, violando il diritto dell’Unione. Nel 2020 Bruxelles aveva dato all’Italia due mesi di tempo per rispondere. Poi la questione si è arenata per responsabilità di diversi governi.

Ora c’è un nuovo passo della procedura, da compiersi entro due mesi.

Una cosa appare chiara ed inequivocabile: il futuro delle nostre spiagge, con gli inevitabili risvolti politici, costituiranno una sfida ed un banco di prova per chi amministra e amministrerà il nostro territorio, essendo ormai ineludibili gli obblighi ed i vincoli comunitari in tema di “concessioni demaniali”, per le quali non vi potranno più essere provvedimenti di proroga.

Dal 1° gennaio 2024 tutto dovrà cambiare. Motivo per cui occorre attuare seriamente una democrazia partecipativa, coinvolgendo tutti, cittadini e stakeholder.

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