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Editoriali

I bambini e la “rivoluzione” di Torre Mozza

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Dove l’asfalto diventa campo da calcio i bambini ci restituiscono speranze nel futuro scrivendo la prima pagina di una rivoluzione silenziosa.

C’è un momento magico, quando il sole bacia l’orizzonte e il mare restituisce alla terra i suoi piccoli pirati dalle gambe abbronzate, in cui accade qualcosa di straordinario. Qualcosa che sa di ribellione dolce, di nostalgia che si fa presente, di futuro che bussa alle porte del cuore.

Due transenne arrugginite, abbandonate come relitti di un’estate passata, diventano le nuove barriere che tengono fuori una civiltà malata restituendo una nuova speranza. Non quella delle strisce blu che hanno colonizzato ogni angolo di paradiso, non quella dei parcheggi a pagamento che hanno trasformato la sabbia in moneta sonante. Ma quella dell’infanzia che si riprende il mondo, un pallone alla volta.

I bambini – dai 9 ai 13 anni, con gli occhi ancora pieni di meraviglia – compiono un gesto che è insieme ingenuo e rivoluzionario. Trascinano quelle transenne al centro della strada, disegnano con i loro corpi una frontiera invisibile tra il mondo degli adulti e quello dei bambini. E iniziano a giocare.

Non sanno di scrivere il primo capitolo di una storia più grande. Non sanno che quel loro gesto spontaneo è il primo sintomo di un risveglio che dovrebbe far tremare le fondamenta di ogni municipio. Stanno semplicemente riconquistando ciò che ogni generazione prima di loro ha sempre avuto: il diritto di essere bambini nei luoghi dove sono nati.

Ma ecco la poesia nascosta nell’apparente caos: mentre loro giocano, il mondo degli adulti va in tilt. Le auto devono deviare, i turisti si smarriscono, la viabilità si contorce in nodi impossibili. È il primo segno che qualcosa si sta muovendo nelle profondità dell’estate. È il mare che cambia marea.

Perché quei bambini non stanno solo giocando a calcio. Stanno praticando un atto d’amore verso il loro territorio. Stanno dicendo, senza parole, che Torre Mozza non è solo una cartolina da vendere, non è solo un parcheggio con vista mare, non è solo un bancomat a cielo aperto per il turismo mordi e fuggi.

Torre Mozza è casa. È il posto dove cresci, dove impari a sognare, dove ogni pietra conosce il tuo nome.

E allora, in quella strada bloccata da due transenne e dal coraggio di pochi metri quadri di libertà, si consuma la prima, silenziosa rivoluzione. Non contro qualcuno, ma per qualcosa. Per il diritto di esistere nei luoghi che ti hanno visto nascere. Per il diritto di trasformare l’asfalto in erba, la strada in campo, il presente in futuro.

Gli adulti passano, guardano, sospirano. Alcuni sorridono con tenerezza, altri sbuffano per l’inconveniente. Ma pochi, troppo pochi, colgono il messaggio che quei piccoli ribelli stanno lanciando al mondo: “Questo posto è nostro. E ce lo stiamo riprendendo.”

È l’inizio di qualcosa che va oltre una partita di calcio. È il primo vagito di una generazione che non vuole essere espulsa dalla propria infanzia, dalla propria terra, dai propri sogni. È il primo atto di una resistenza che sa di sale, di vento, di estate infinita.

E mentre il sole tramonta dietro le transenne arrugginite, mentre i bambini si passano il pallone con la serietà di chi sta scrivendo la storia, Torre Mozza diventa improvvisamente più grande. Diventa simbolo. Diventa speranza.

Diventa il posto dove i bambini hanno iniziato a insegnare agli adulti cosa significa davvero amare un territorio.

Il primo sintomo di un risveglio che potrebbe cambiare tutto.

Se solo gli adulti imparassero ad ascoltare il linguaggio universale di due transenne e di un pallone che rotola sull’asfalto verso il futuro…

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