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Editoriali

Il calcio e lo sport, momenti di crescita di una comunità

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Come ogni estate, anche quest’anno mi è capitato di assistere da tifoso ed appassionato di calcio ad alcuni tornei di ragazzi del settore giovanile e scolastico della FGCI. Ho girato alcuni paesi del nostro grande Salento. Ho avuto modo di vedere talenti, di incontrare persone, di rivedere amici e colleghi di lavoro. Ho avuto soprattutto la possibilità di constatare quanto la nostra città, ahimè, sia indietro nella cultura dello sport, sul piano dell’impegno politico nel voler creare condizioni a che i nostri ragazzi si avviino alla pratica sportiva. Stiamo indietro non perché manchino persone che si impegnino o vogliano impegnarsi. Quelle che ci sono lo fanno con passione, coraggio e dedizione. Meritano tutto il nostro plauso. Mancano le strutture pubbliche e private che riescano ad attrarre e creare partecipazione, convivialità, interazione sociale ed anche possibilità di crescita economica.

Faccio riferimento al calcio perché è più seguito e praticato. Lo dico con assoluto rispetto verso altre discipline come la pallavolo, il ciclismo, lo scherma, la ginnastica, il nuoto, il basket, che meriterebbero certamente maggiore diffusione e attenzione istituzionale.

In tante belle serate di calcio, mi ha sempre colpito come piccole cittadine, territorialmente non paragonabili alla nostra, il che non vuole essere assolutamente una denigrazione, dispongano di luoghi, di strutture, di centri in cui la pratica del calcio, e/o talvolta di altre discipline, riescano ad essere input di sviluppo e crescita sociale prim’ancora che sportiva. Tornei organizzati a Mancaversa, Taurisano, Torre Suda, Cavallino, Tricase, Depressa, Alezio, Alessano, financo a Castrignano dei Greci. Tutte realtà in cui probabilmente la politica locale, con l’aiuto di privati, facendo quindi “sistema”, ha voluto investire, credendo fortemente che un torneo di calcetto (futsal) possa avere grande rilevanza sotto molti punti di vista. Del resto, che senso avrebbe realizzare delle strutture sportive per poi non utilizzarle o, peggio ancora, non mantenerle almeno all’altezza della decenza civile? Ne abbiamo molti esempi nel nostro territorio! Si è sempre preferito inaugurare in pompa magna per crogiolarsi subito sugli allori dei social, sciorinando a destra e a manca opere ed impianti sportivi, salvo poi dimenticarsene appena passato il clima di festa. È inutile girarci attorno, se non fosse per l’impegno di pochi non avremmo quelle soddisfazioni che da diversi anni la nostra comunità vive con entusiasmo e partecipazione.

Durante la premiazione ad un torneo futsal con squadre formate da pulcini, mi è piaciuto il discorso pronunciato da Francesco Di Gioia, responsabile del settore giovanile del Toma Maglie, della cui amicizia e stima sono onorato. L’ho conosciuto durante il recente corso per allenatori licenza D svoltosi a Brindisi. Un’esperienza di grande arricchimento personale e umano prim’ancora che tecnico – calcistica. Non è piaggeria se affermo che mister Di Gioia è la persona “di calcio” che “fa calcio”, che ogni società sportiva dovrebbe avere all’interno del proprio staff. Al di là dell’idee che ognuno può avere, a lui mi accomuna il ruolo e le funzioni che il calcio deve svolgere nel processo formativo e di crescita umana e personale, prim’ancora che tecnico – calcistica, di ogni bambino che si approccia ad una qualsiasi tipologia di sport. Non si possono formare calciatori se non si punta a formare la persona. Se non si mette al centro il bambino, con la sua personalità, il suo carattere, i suoi problemi, le sue difficoltà, le sue qualità positive e negative, non si può pensare di formare lo sportivo, l’atleta ed il cittadino del futuro. Se le statistiche dicono che solo un ragazzo su un milione diventa un campione, bisogna fare in modo che tutti crescano attorniati da ambienti sani, divertenti, impregnati di positività e di valori importanti, coinvolgendo famiglie e comunità. Un messaggio significativo quello dell’amico Francesco, che ha scelto di premiare non come ordinariamente avviene nelle competizioni. Ha scelto di lanciare un messaggio sano e dal grande valore emulativo: i vincitori devono premiare i perdenti ed i perdenti premiare i vincitori. Perché in fondo, vittoria e sconfitta sono eventi che bisogna imparare a vivere. Sono vita da vivere soprattutto fuori dal campo di gioco. Ai nostri ragazzi dobbiamo insegnare che vincere o perdere una partita è solo un momento, mentre farlo nella vita è aver imparato a stare nel mondo. Devono diventare campioni nella vita.

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