Brutta sorpresa questa mattina per chi si aspettava di trovare il proprio angolo di spiaggia già “prenotato” con ombrellone e sdraio: all’alba è scattato un imponente sequestro di attrezzature lasciate abusivamente lungo il litorale di Ugento.
L’intervento, avvenuto nelle primissime ore del mattino, ha visto impegnati gli agenti della Polizia Locale di Ugento, guidati dal comandante Giovanni Schirinzi, in collaborazione con i militari della Capitaneria di Porto di Torre San Giovanni, agli ordini di Massimiliano Colazzo. I controlli hanno interessato tutte le spiagge libere delle marine di Torre San Giovanni, Torre Mozza e Lido Marini, dove sono state sequestrate decine di attrezzature da mare — ombrelloni, sedie e lettini — posizionate abusivamente dalla sera precedente.
Un’abitudine estiva tanto diffusa quanto scorretta, che rappresenta un vero e proprio abuso a danno della collettività, impedendo la libera fruizione del demanio marittimo. L’intervento, eseguito a carico di ignoti, ha permesso di restituire alla cittadinanza ampi tratti di arenile, finalmente liberi da “occupazioni private” non autorizzate.
A trovare una spiacevole sorpresa, questa mattina, sono stati proprio coloro che contavano di trovare la propria “postazione” già sistemata: al loro posto, bagnanti arrivati di buon’ora hanno potuto godersi il mare nel pieno rispetto delle regole.
Ozanews aveva già sollevato l’attenzione sull’argomento, documentando il fenomeno con immagini eloquenti e puntando il dito contro una consuetudine che da anni mortifica le spiagge libere ugentine. Un’iniziativa editoriale che ha acceso il dibattito pubblico e, con ogni probabilità, ha messo in moto anche alcune reazioni istituzionali.
Non a caso, nei giorni successivi alla nostra denuncia, alcune pagine social legate alla propaganda del Comune di Ugento hanno pubblicato un articolo riguardante un’operazione risalente a circa venti giorni prima, quasi a voler ribadire – su sollecitazione dello stesso comandante Schirinzi – il ruolo attivo della polizia locale nella tutela del litorale.
Ma quella di oggi non è una replica né un tentativo di rivendicazione, bensì un’azione concreta, svolta all’alba, che ha avuto un impatto reale sul territorio e che restituisce dignità alle spiagge pubbliche.
L’operazione è iniziata intorno alle 4 del mattino e si è protratta fino a dopo il sorgere del sole, lungo tutto il tratto costiero compreso tra il faro di Torre San Giovanni e Torre Mozza. Le autorità annunciano che i controlli proseguiranno anche nelle prossime settimane.
Un segnale chiaro: la spiaggia è un bene comune, e chi cerca scorciatoie per occuparla abusivamente dovrà fare i conti con le regole.
Con l’arrivo dell’estate, le spiagge si popolano e si caricano di allegria, sole e desiderio di relax. Purtroppo, insieme alla stagione più attesa dell’anno, torna anche un fenomeno odioso e intollerabile: quello degli ombrelloni “segnaposto”, lasciati incustoditi sulla spiaggia già dalla sera prima o all’alba, per riservarsi un posto in prima fila senza alcuno sforzo.
Chi pratica questa abitudine non solo è maleducato e arrogante, ma profondamente irrispettoso del bene comune e del prossimo. L’idea di “segnare” il territorio, come se la spiaggia fosse proprietà privata, è una vergognosa dimostrazione di prepotenza e inciviltà. Questi comportamenti minano lo spirito stesso della convivenza civile: mentre famiglie e turisti si alzano presto per godersi una giornata di mare, si trovano di fronte una fila di ombrelloni vuoti, che resteranno deserti per ore, bloccando l’accesso a chi invece è presente fisicamente.
Forse non tutti lo sanno, ma lasciare ombrelloni, sedie o altri oggetti sulla spiaggia libera per “prenotarla” è vietato dalla legge. Il Codice della Navigazione (art. 1161) punisce l’occupazione arbitraria di suolo demaniale, e in molte regioni e comuni esistono ordinanze che vietano espressamente questa pratica. La Capitaneria di Porto e la Polizia Municipale hanno il dovere di intervenire, rimuovendo gli oggetti e sanzionando i responsabili. In molte località costiere italiane le autorità lo fanno, eccome.
Ma a Ugento, purtroppo, no.
Ad Ugento, terra bellissima e meta turistica d’eccellenza, questo malcostume prospera indisturbato. Basta farsi un giro al mattino presto su alcune delle spiagge libere del litorale per trovarsi di fronte a un vero e proprio accampamento fantasma: ombrelloni piantati nella sabbia, sdraio legate, persino giochi e salvagenti lasciati a “riservare” uno spazio che dovrebbe essere di tutti.
Il fatto ancora più grave è che la Polizia Municipale, che dovrebbe vigilare e intervenire, non agisce con la necessaria fermezza. Manca un controllo serio, costante, deciso. Manca l’applicazione delle sanzioni. Manca la volontà, o forse il coraggio, di estirpare un fenomeno che rovina l’esperienza di chi vuole semplicemente godersi la spiaggia con rispetto e correttezza.
Chi pratica il trucco dell’ombrellone segnaposto dimostra una mentalità da “furbetto del quartierino”, egoista e menefreghista. Non c’è giustificazione che tenga: non è furbizia, è cafonaggine pura. È una forma di appropriazione indebita del bene pubblico. È la versione balneare della macchina parcheggiata in doppia fila “solo cinque minuti”. È l’atteggiamento tipico di chi pensa che le regole valgano solo per gli altri.
È ora di dire basta. Chi ama Ugento, chi ama il mare, chi rispetta gli altri, non può più restare in silenzio. Le istituzioni devono svegliarsi, i cittadini devono segnalare, i turisti devono pretendere rispetto. La spiaggia è un bene comune, non il giardino privato di pochi prepotenti.
Servono controlli. Servono rimozioni. Servono multe. E serve, soprattutto, cultura del rispetto.
La spiaggia libera deve rimanere tale, anche se gli ombrelloni vengono rimossi a fine giornata. È questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione in una recente sentenza che ha confermato la condanna a quattro mesi di arresto per un gestore balneare pugliese, colpevole di aver occupato abusivamente il demanio marittimo.
La vicenda si è svolta sulla costa salentina, precisamente a San Giovanni, nel comune di Ugento, dove il gestore di un noto lido locale aveva allestito due vere e proprie appendici al suo stabilimento balneare, occupando illegalmente 672 metri quadrati a nord e 711 a sud della sua area autorizzata.
L’operazione della Capitaneria di Porto di Gallipoli, condotta all’alba del 29 luglio 2020, ha colto sul fatto un dipendente del lido mentre completava l’allestimento di un’impressionante distesa di attrezzature balneari: 110 ombrelloni, 75 lettini, 6 sdraio e 23 sedie, il tutto completato da due pali dotati di fari per l’illuminazione serale. Un’organizzazione tutt’altro che improvvisata, come ha sottolineato la Corte nella sentenza n. 4149 del 31 gennaio 2025.
La difesa ha tentato di giustificare l’occupazione sostenendo di possedere una SCIA regolare per il noleggio di attrezzature balneari e che gli ombrelloni erano stati prenotati da alberghi convenzionati. Ha inoltre insistito sul fatto che le attrezzature venivano posizionate poco prima dell’arrivo dei clienti per evitare assembramenti e rimosse a fine giornata. Ma questi argomenti non hanno convinto i giudici della Suprema Corte.
“Non è possibile equiparare questa attività a quella dei normali fruitori della spiaggia libera”,
hanno stabilito i magistrati, evidenziando due elementi chiave: la continuità dell’occupazione e la sua natura commerciale. La Cassazione ha infatti rilevato come l’allestimento completo dell’area nelle prime ore del mattino, in totale assenza di clienti, e il numero sproporzionato di attrezzature rispetto alle prenotazioni effettive, dimostrassero la volontà di occupare stabilmente lo spazio pubblico.
Particolarmente grave è stata considerata l’installazione dei pali per l’illuminazione, infissi nel cemento e quindi non rimovibili, che hanno contribuito a far respingere la richiesta di oblazione, ovvero la possibilità di estinguere il reato attraverso il pagamento di una somma di denaro. A pesare su questa decisione anche i precedenti penali dell’imputato, tra cui uno specifico per reati analoghi.
La sentenza si inserisce in un filone giurisprudenziale consolidato: già in passato la Cassazione aveva condannato pratiche simili nei casi Pazzaglia (2006), Sorreca (2018) e Farci (2011), stabilendo che l’occupazione del demanio marittimo costituisce reato anche quando temporanea, se finalizzata ad attività commerciali che impediscono la libera fruizione della spiaggia.
La sentenza arriva in un momento cruciale per il settore balneare italiano, già al centro di dibattiti per la questione delle concessioni demaniali, e ribadisce l’importanza di un equilibrio tra servizi turistici e libero accesso al mare, diritto costituzionalmente garantito.
Abbiamo dato un occhiata a tutti gli atti resi pubblici sull’albo pretorio da parte del Comune di Ugento in merito al piano collettivo di salvataggio, presentato come indispensabile criterio per la bandiera blu, anche se in realtà non è precisamente così.
Il piano collettivo di salvataggio è un provvedimento che punta ad alzare gli standard di sicurezza del nostro litorale, coinvolgendo gli stabilimenti balneari e un’azienda che si occupa di salvataggio tramite moto d’acqua, con la possibilità di allargare il servizio di salvamento anche alle spiagge libere.
una delle torrette installate sulla spiaggia libera
Partiamo dalla Delibera di giunta n. 149 del 30.06.2022 nella quale si legge:
“come previsto dal disciplinare di procedura operativa adottato dalla FEE Italia per l’assegnazione della Bandiera Blu, i comuni che si fregiano di tale vessillo devono obbligatoriamente rispettare diversi adempimenti e in particolare tra questi risulta esservi quello correlato alle: Misure di sicurezza per la tutela dei bagnanti attraverso la predisposizione ed attuazione di un piano collettivo di salvataggio”.
un estratto dalla delibera
Esaminando la procedura operativa PO005 – PROCEDURA OPERATIVA Certificata ISO 9001 – 2015, alla voce “SERVIZI E SICUREZZA” sono riportati i seguenti punti, dove la (I) sta per carattere “IMPERATIVO” e (G) per “GUIDA”, quindi non obbligatorio e utile per acquisire ulteriore punteggio:
27. Un numero adeguato di personale di salvataggio e/o attrezzature di salvataggio deve essere disponibile sulla spiaggia (I)
28. L’equipaggiamento di primo soccorso deve essere disponibile sulla spiaggia (I)
29. Piani di emergenza per i casi di inquinamento o rischio per la sicurezza ambientale devono essere predisposti (I)
30. Deve essere prevista la gestione di diverse utenze e differenti usi della spiaggia in modo tale da prevenire conflitti e incidenti (I)
31. Misure di sicurezza per la tutela dei bagnanti devono essere attuate e libero accesso deve essere garantito al pubblico (I)
32. Una fonte di acqua potabile deve essere disponibile sulla spiaggia (G)
33. Almeno una spiaggia Bandiera Blu per ogni Comune deve avere accesso e servizi per disabili fisici (I)
Emerge chiaramente l’inesistenza dell’obbligo di adottare un piano collettivo di salvataggio che riteniamo utile se elaborato con criterio, con la collaborazione e partecipazione di tutti i soggetti coinvolti. Ma andiamo avanti.
Nelle premesse al “piano collettivo di salvataggio”, il Responsabile di settore, nonché progettista del piano stesso, da una lato afferma che:
“l’attivazione di un piano collettivo di salvamento consente la sorveglianza di una vasta area di litorale, avendo altresì, il pregio di offrire ulteriori risorse per la salvaguardia della vita umana in mare e la sicurezza della balneazione, oltre alla consueta presenza di postazioni fisse”- mentre dall’altro –“la normale applicazione dell’ O.S.B. (ordinanza sicurezza balneare) prevede l’obbligo di garantire il servizio di salvamento sulle spiagge libere, cosa che invece non avviene senza l’implementazione del piano collettivo di salvamento”.
In realtà è difficile non accorgersi dell’assoluta infondatezza dei presupposti su cui si sta operando per un riconoscimento così importante per il territorio. Un ulteriore prova di ciò che abbiamo constatato è data dal fatto che vi sono diverse spiagge libere nelle quali, stando sempre al citato “piano collettivo”, il Comune procederà ad installare dei cartelli per segnalare l’assenza del servizio di salvataggio. Infatti:
“II Comune di Ugento, in tutto il tratto di litorale facente parte del P.C.S., dovrà dare informazione alla pubblica utenza tramite cartellonistica in triplice lingua, che il servizio di salvataggio verrà svolto in forma collettiva, evidenziando le varie stazioni di salvataggio in relazione all’effettiva ubicazione e apporre la cartellonistica prevista nelle spiagge libere non coperte dal piano”.
Le spiagge libere non coperte dal piano sono:
Da Lido Pineta a Balelido;
Tratto di spiaggia in località Fontanelle, tra la Torretta n. 18 e Torretta n. 19.
Tratto di spiaggia confine Torre Mozza Lido – Marini – tratto tra Torretta 32 e Torretta 33.
Tratto di spiaggia a Lido Marina tra Torretta 41 e Torretta 42.
Siamo ormai a stagione turistica inoltrata e constatiamo che il comune non ha ancora provveduto a installare la cartellonistica prevista. È vero anche che già mancano molti dei cartelli obbligatori secondo l’Ordinanza di sicurezza balneare della Capitaneria di Porto di Gallipoli, come possono essere quelli di divieto di balneazione nel tratto di mare antistante Corso Annibale.
Se l’obiettivo del Comune di Ugento è sorvegliare una vasta area offrendo ulteriori risorse per la salvaguardia della vita umana in mare e la sicurezza della balneazione, per quale ragione ha escluso il tratto di mare compreso tra la costa e lo scoglio denominato “Le Pazze”, pur essendo un ampio tratto di scogliera fortemente frequentato dai bagnanti?
uno dei cartelli obbligatori per il mantenimento della bandiera blu
Perché non procede, per le spiagge libere, alla delimitazione con boe di segnalazione della zona di mare riservata alla balneazione? E qualora non posizionati, ad installare adeguata segnaletica, ben visibile agli utenti e redatta in più lingue con scritto semplicemente: “ATTENZIONE – LIMITE ACQUE INTERDETTE ALLA NAVIGAZIONE NON SEGNALATO”?.
Perché, per le spiagge libere, non procede a segnalare con boe di colore bianco posizionate ad intervalli non superiori a 25 metri, il limite delle acque sicure? E qualora non si voglia fare, perché non installare dei cartelli, ben visibili agli utenti, che ripotino in maniera chiara: “ATTENZIONE – LIMITE ACQUE SICURE NON SEGNALATO”?
L’Ordinanza di sicurezza prevede infine che è compito del Comune di Ugento procedere a frequenti controlli del litorale, al fine di verificare la permanenza dei cartelli installati all’inizio della stagione balneare, provvedendo al loro ripristino nel caso gli stessi fossero, per qualsiasi motivo, divelti, rimossi o comunque resi illeggibili. Chi controllerà? La nostra polizia locale o il nucleo di vigilanza ambientale impegnato a reprimere i gravi scempi a danno del nostro territorio?
E’ opportuno ricordare al Sindaco e all’assessore al turismo che la Bandiera Blu può essere rimossa in qualsiasi momento se si dovessero concretizzare i presupposti per tale provvedimento. Una spiaggia deve rispondere a tutti i requisiti, indicati di seguito con la lettera I (imperativo) e possibilmente al maggior numero dei requisiti indicati con la G (guida).
Come diceva il principe De Curtis in arte Totò: “a Ccà nisciuno è fesso!”. Siamo convinti che gli ugentini non siano mai stati stupidi, ma vittime di un sistema di potere che negli ultimi 25 anni gli ha visti avulsi da ogni tipo di partecipazione sociale e politica. Ci auspichiamo che questo cambi presto, quanto meno per non farsi prendere in giro e non passare da fessi.
Le foto lasciano poche speranze, il mare è ormai a ridosso della pineta e ha già cominciato ad abbattere i primi alberi. E’ questo il desolante scenario che ci si trova davanti percorrendo una delle parti più belle del litorale di Ugento, tra torre San Giovanni e Torre Mozza, all’altezza del bacino Rottacapozza Sud.
LE CONSEGUENZE DELL’EROSIONE
Una tendenza naturale che purtroppo è già in atto da tempo, nonostante in molti puntino il dito contro il porto di Torre San Giovanni e in particolar modo sulle conseguenze derivanti dal suo ultimo restyling. Un’osservazione che troverebbe giustificazione nello storico delle foto satellitari di cui vi forniamo un’animazione che ben rappresenta il fenomeno dal 2004 ad oggi.
Come si evince dalle foto il fenomeno dell’erosione è in costante aumento, con una netta accelerazione negli ultimi 3 anni. Una tendenza che se dovrebbe confermarsi porrebbe a grave rischio anche la tenuta idrogeologica dei bacini di Ugento, con il mare che rischia di sfondare all’interno del bacino Rottacapozza Sud
La prima rilevazione disponibile del 2004
L’ultima rilevazione disponibile del 2020
Un fenomeno a cui sembra impossibile mettere un freno, nonostante i tanti progetti sviluppati negli anni e gli interventi di ripascimento finanziati dal comune, protagonista anche come caso pilota del progetto TRITON.
Molti soldi spesi, risultati discutibili e l’ambiente che lentamente continua a riprendersi i suoi spazi. Gli stessi spazi che sembrano essere stati alterati dall’intervento sul molo secondario del porto di Torre San Giovanni, con osservazioni in tal merito che arrivarono da Italia Nostra e altre associazioni ambientaliste, che paventavano la possibilità di investire in nuova area portuale distante circa 1 km a nord da quella attuale. Un tema che questo sito affrontò già 9 anni fa nel reportage video dal titolo “a chi importa il porto”
Uno dei tanti progetti che gravitavano intorno al porto di Torre San Giovanni arrivò anche a Bruxelles, tramite l’eurodeputato Gianni Pittella, che il 28 agosto 2003 presentò un’interrogazione presso la commissione Europea:
Oggetto: Progetto contro erosione litorale Marine di Ugento Risposta(e) Il POR della regione Puglia ha previsto stanziamenti di fondi comunitari per un progetto diretto a fronteggiare l’emergenza dell’erosione del litorale sabbioso delle Marine di Ugento (Misura 1.3 “Interventi per la difesa del suolo”-Azione 2 “Realizzazione di interventi di difesa delle coste”). Il progetto ammesso a finanziamento, realizzato dalla società ETACONS s.r.l. prevede: a) la ricostruzione di tre pannelli siti lungo la spiaggia da realizzarsi con il salpamento dei relitti di altri 4 pannelli presenti nella medesima zona; b) il dragaggio della sabbia dall’attuale insenatura compresa tra i due moli preesistenti, nonché il suo trasporto, ai fini dell’azione di ripascimento, nella zona costiera adiacente; c) la rimozione dell’insenatura esistente, mediante “salpamento” di parte del molo foraneo ed eliminazione del molo di sottoflutto, poiché considerata causa principale dell’erosione; d) la realizzazione nella predetta insenatura di un altro nuovo molo lungo circa 220 metri e largo circa 24 metri.
In merito al progetto occorre evidenziare quanto segue:
la costruzione di un molo dalle dimensioni di oltre 220 m di lunghezza in un’area sottoposta a numerosi vincoli naturalistici è in contrasto con l’obiettivo di risanamento ambientale indicato nel POR;
il nuovo molo è inutile ai fini del contenimento dell’erosione costiera, dato che una delle concause del fenomeno erosivo è costituita proprio dalla presenza nella zona di altri due moli;
il progetto non è stato sottoposto alla procedura di VIA, requisito essenziale per l’ammissione dell’opera al finanziamento comunitario.
Sulla base di tali considerazioni, non ritiene la Commissione europea che tale progetto costituisca un utilizzo improprio dei fondi comunitari destinati alla tutela ambientale?
Non ritiene la Commissione europea che le autorità preposte debbano verificare la legittimità dell’opera e la liceità, dato l’improprio uso dei fondi strutturali?
Molti interessi, pochi risultati, con il tempo che sembra passare sempre più velocemente rinfacciandoci ogni giorno le nostre colpe.
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