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Riflettiamo e lasciamo le difese d’ufficio

Riflettiamo e lasciamo le difese d'ufficio

Ci sono alcuni punti dell’editoriale dell’amico Riccardo Primiceri, pubblicato giorni fa, che non mi trovano d’accordo. Spiego brevemente il perché. 

Intanto quello compiuto ritengo sia comunque un gesto vile e offensivo. L’imbrattamento dei nostri beni culturali non può passare come la classica “ragazzata”. Bene inteso che ognuno è libero di schierarsi a difesa di chiunque, non condivido questa difesa d’ufficio perché occorre crescere nel rispetto di sé stessi, se, come questi ragazzi imbrattano, intenderebbero difendere un’identità che probabilmente dovrebbero imparare a conoscere e poi nel rispetto della legge che richiede l’osservanza di regole del vivere sociale. Mi viene difficile pensare che in casa loro possano compiere tali “ragazzate”. Non credo ci sia nessuno che possa aver pensato minimamente che per questo gesto, intriso anche di stupidità, debbano essere destinati al confino. Proprio Beccaria, di cui “sentiamo la voce lontana”, per dirla alla Calamandrei (sarebbe utile per costoro ascoltare il suo discorso ai giovani milanesi del 1955!), teorizzò il concetto di rieducazione del deviante, in quella che i criminologici annoverano come “scuola classica”. Penso che sia troppo facile biasimare gli adolescenti per la semplice ragione che è un dovere farlo, laddove, proprio la devianza si manifesti sul piano della “collisione della struttura etica o dominante di una collettività”, da cui deve inevitabilmente discendere una disapprovazione o condanna dell’ambiente socioculturale. Ci stanno anche gli errori giovanili. Ci mancherebbe! Non mi è mai passato per la mente di rovinare un qualcosa che appartiene a tutti e che è pagato con le tasse dei contribuenti. Pensavo già “allu scornu” che gli estranei mi avrebbero causato con il loro pubblico rimprovero. Senza contare la reazione dei miei genitori, che sicuramente non mi avrebbero accontentato in qualche mio desiderio. Siamo stati tutti adolescenti, dacché l’approccio seguito mi pare si confini un po’ troppo in quel permissivismo che, vista la realtà di oggi, non è più tollerabile. Concordo appieno sulla prima domanda da porsi, ovvero su quale sia l’offerta a questi ragazzi. Ne pongo però un’altra: può essere giustificato l’imbrattamento di un bene culturale perché il comune non crea degli spazi per gli adolescenti? 

Sono stati Matza e Sykes ad individuare le “tecniche di neutralizzazione”. Da un lato si prova a legittimare il proprio operato affermando come non si sia arrecato, in fondo, un danno serio; e dall’altro si cancella l’esistenza della vittima, che in questo caso non c’è fisicamente ma è identificabile con un bene collettivo a carattere diffuso, e, quindi, di un’azione che possa aver prodotto disagio a qualcuno.   

A fronte poi dei problemi sugli impianti sportivi, c’è sicuramente molta strada da fare. Altrettanto per l’offerta culturale, ma non può giustificarsi la devianza con ragioni di assenza di opportunità ed offerte di impegno del proprio tempo. La droga è criminologicamente e sociologicamente un atto deviante come insegna Becker. La stessa logica che è insita nella subcultura che anima le baby gang. Su tutti l’arcinoto fenomeno “maranza”.

Il nostro “sistema culturale” ha presentato per anni indiscutibili criticità. Inaccettabili considerati i fondi pubblici impegnati. Oggi, tuttavia, la situazione è decisamente migliorata. Tutto è ovviamente migliorabile, ma ritengo pretestuoso, seppure legittimamente, ridurre il tutto ad una trasformazione in ludoteca, considerato che l’attuale gestione ha generato fermento culturale, non sempre colto dagli ugentini, organizzando eventi e attività, di assoluto valore culturale e sociale, che possono o meno piacere. Occorre lavorare insieme affinché Museo e Biblioteca diventino un polo di attrattività popolare, ove si sentano parte votanti e non votanti e ci si sforzi di includere gli adolescenti in ogni occasione di crescita sociale e culturale, riparando eventualmente quelle finestre rotte che evidentemente non dovrebbero essere rotte. Anche perché occorre reprimere gli atti adolescenziali compiuti a danno di tutti. Lasciamo stare le difese d’ufficio (legittime), riflettiamo e concentriamoci su di loro, consapevoli, qualora necessario, di doverli rimproverare e redarguire pubblicamente. Il che non significa scaricare frustrazioni da falliti perché ogni adulto si sente realizzato a suo modo, rispondendo solo a sé tesso e alla propria coscienza.

Solo un rumoroso silenzio

Ci sono poche persone che a seguito della tragica uccisione di Giulia Cecchettin non siano turbate. I turbamenti interiori possono differenziarsi a seconda del ruolo che ognuno occupa nella propria comunità. Sul piano emozionale, si è differentemente investiti perché oltre ad essere cittadino/a, si è anche genitore, fratello, sorella, nonno, amico, zia e soprattutto mamma e padre. In questi giorni di grande discussione, di sgomento, di dolore che toglie il respiro per lasciare spazio a qualcosa che è evidentemente di più delle lacrime, ho cercato con difficoltà di osservare questo fatto sociale da una prospettiva sociologica e criminologica. Ho letto e ascoltato le reazioni di senso comune; dai colleghi, agli amici, fino ai parenti. A mio avviso sono due le domande da porsi; perché è successo? Perché non parliamo mai della vittima?

Mi sono reso conto che non esiste una sola risposta, ma tante proposte di risposta ad un problema molto complesso come il femminicidio, che come tale va inquadrato nella giusta dimensione. Senza strumentalizzazioni o tentativi di avviare inutili e futili battaglie ideologiche che nulla hanno a che fare con la realtà, che invece mi porta a ritenere che per poterla capire occorre prenderla da più prospettive. Significa osservarla e guardarla (osservare e guardare sono due verbi simili che esprimono azioni diverse!) dall’alto, come direbbero i funzionalisti, dal basso come fanno gli interazionisti, ma inevitabilmente nel mezzo come ha insegnato il grande sociologo Norbert Elias nella sua più importante opera Il processo di civilizzazione. Ritengo quindi che il problema “femminicidio” debba essere preso e affrontato sistemicamente perché le notevoli variabili con cui si struttura, richiedono interventi che devono arrivare da tutti i ranghi, non potendosi ritenere valida l’idea che sia strettamente dipendente dall’esistenza in Italia di una cultura patriarcale ormai scemata e rivoluzionata dalle indubbie conquiste di libertà della donna (fortunatamente!). 

Se per Elias la civilizzazione altro non è che una pressione crescente e sempre più invasiva da parte della società sul singolo, che impara a reprimere sempre più sé stesso, per non disgustare gli altri, per non essere da meno, e, in sostanza, per non essere emarginato, non vi è dubbio che quella stessa società, quella in cui viviamo oggi, è il contenitore principale in cui si radicano le cause principali del problema. Il che non significa addebitarle il monopolio della responsabilità. Vengono a mancare funzionalmente le agenzie di socializzazione, quindi di interiorizzazione delle norme, che un tempo consentivano di condividere su una piattaforma comune valori, tradizioni, identità, prospettive, sogni, aspettative, etc. Condivido la riflessione del dott. Gratteri per il quale i reati di “femminicidio” sono il risultato dell’abbandono dei giovani da decenni, di cattiva educazione, di egoismo dei genitori che non seguono i figli (per varie ragioni), di un’esagerazione nella performance, nella prestazione dei figli. Chi commette efferatezze di genere ha evidentemente interiorizzato ciò che va a indebolire quello stato mentale che Sigmund Freud individua come “Super-Io”. Il rappresentante dei più alti ideali etici e morali che gli esseri umani coltivano. Un’entità sovrannaturale alla quale ci si appella per placare le proprie ansie, le proprie paure, gli stati d’animo di inquietudine, inducendo uno stato illusorio permanente auto ipnotico nella propria mente. Rappresenta l’origine della coscienza morale, ma non la coscienza morale che si forma attraverso un processo, piuttosto lungo di sviluppo e revisione, di critica e superamento dei codici di comportamento interiorizzati nel Super-io che inizia nell’adolescenza. Occorrono asili con personale formato e specializzato che colloquino sistematicamente con le famiglie; una scuola a tempo pieno ove cooperino insegnanti e operatori sociali a vario livello investendo seriamente nel sociale. Creare un sistema di nuove agenzie di socializzazione che applichino l’equazione Famiglia – Scuola  – Società. Apparirà azzardato ma ritengo utile ripensare il ripristino del servizio di leva per i post – adolescenti. Dice Eve Ensler, scrittrice e drammaturga che “Quando si violentano, picchiano, storpiano, mutilano, bruciano, seppelliscono, terrorizzano le donne, si distrugge l’energia essenziale della vita su questo pianeta. Si forza quanto è nato per essere aperto, fiducioso, caloroso, creativo e vivo a essere piegato, sterile e domato”. Lasciamo i social e abbracciamo i nostri figli, perché tornino a desiderare, a conquistare, a sognare, a costruire. Ne vale la pena!

Condannata l’Italia per la cattiva gestione dei rifiuti

Con una sentenza dello scorso 19 ottobre, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riscontrato la violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo (CEDU). In particolare è stata dichiarata la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare da parte dell’Italia perpetrata con la cattiva gestione dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti nella regione Campania. Una gestione che ha certamente molta comunanza con quella attuata negli anni anche in Puglia ed in particolare nel Salento e nel nostro territorio. Non dimentichiamo che la discarica Burgesi, ora in regime di post- gestione è una discarica nata in un particolare periodo storico e politico. Unico caso di discarica nata in sanatoria. 

La Corte ha riconosciuto la violazione dei diritti di diciannove cittadini, residenti a Caserta e San Nicola La Strada. Costoro sostenevano essenzialmente che le autorità italiane avessero omesso di garantire il corretto funzionamento del servizio pubblico di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti nella loro zona di residenza, nonché di mettere in sicurezza e bonificare la discarica sita nell’area Lo Uttaro, causando gravi danni all’ambiente e mettendo in pericolo la salute degli abitanti dell’area interessata, danneggiandone la vita privata. La “crisi della gestione dei rifiuti” in Campania si è protratta per 15 anni, così come del resto è accaduto nella nostra Regione per lunghi periodi di tempo.

I cittadini ricorrenti si dolevano della violazione del loro diritto alla vita (art. 2 CEDU), del loro diritto al rispetto della vita privata e del loro domicilio (art. 8 CEDU, profilo sostanziale e procedurale), del loro diritto a non essere discriminati (art. 14 CEDU), nonché, con riferimento alla possibilità di ottenere la restituzione delle tasse che avevano pagato per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la violazione del diritto all’equo processo (art. 6 par. 1 CEDU), del diritto ad un ricorso effettivo (art. 13 CEDU) ed infine del diritto al rispetto dei propri beni (art. 1 Protocollo 1 alla CEDU). La Corte, con la sentenza, ha accolto il ricorso sotto il profilo della violazione sostanziale dell’art. 8 CEDU, dichiarandolo per il resto inammissibile (con riferimento alle doglianze sollevate relativamente agli artt. 6 par. 1 e 13 CEDU, nonché all’art. 1 Protocollo 1 alla CEDU e dell’art. 2 e 14 CEDU, per incompatibilità ratione materiae con la Convenzione e perché manifestamente infondate). Sebbene non si potesse affermare, a causa della mancanza di prove mediche, che l’inquinamento derivante dalla crisi della gestione dei rifiuti avesse causato danni alla salute dei ricorrenti, era tuttavia possibile stabilire, tenendo conto dei rapporti ufficiali e dei documenti disponibili, che vivere in un’area caratterizzata dalla massiccia presenza di rifiuti, in violazione delle norme di igiene e sicurezza applicabili, aveva reso i ricorrenti più vulnerabili a diverse malattie. Per la Corte di Strasburgo, un rilevante inquinamento ambientale può senz’altro influire sul benessere delle comunità al punto tale da pregiudicare la loro vita privata, senza per questo mettere in pericolo la loro salute. 

Se pensiamo alla gestione della discarica Burgesi ed a tutto ciò che ad essa è riferibile, specie per ciò che attiene il “silenzio assordante” di chi per anni seduto sul trono ha solo “ciurlato nel manico”, non tralasciando i più recenti studi che confermano un aumento delle malattie oncologiche ed ovviamente la questione, ancora aperta, del PCB, possiamo renderci conto che anche nei confronti delle popolazioni di Ugento, Gemini e Aquarica – Presicce le autorità siano verosimilmente venute meno al loro obbligo positivo di adottare tutte le misure necessarie a garantire l’effettiva tutela del diritto dei ricorrenti al rispetto del loro domicilio e della loro vita privata, violando, per tale via, l’art. 8 della Convenzione.

La prova di quanto appena detto sta proprio nel fatto che tra i banchi della maggioranza e della minoranza non si pronuncia quasi mai “Burgesi”, salvo ricordarsene in campagna elettorale. Non ci si chiede che fine abbiano fatto i risultati dei campionamenti, per i quali sono stati stanziati soldi pubblici. A che punto sia, e con quali riscontri, l’attuazione del piano straordinario di verifica ambientale. 

Forse è meglio aspettare la prossima campagna elettorale per sapere qualcosa.

Troppo facile accusarli, io sto dalla parte dei ragazzi

È troppo facile biasimare gli adolescenti, considerando la loro età che naturalmente li porta a commettere degli errori giovanili. Tuttavia, quale alternativa stiamo offrendo a questi ragazzi? Secondo me, questa dovrebbe essere la prima domanda da porsi per comprendere davvero il fenomeno, evitando giudizi autoreferenziali, come si è letto in giro in questi giorni.

La crisi del tessuto sociale di Ugento non è iniziata certo ora, e in questo momento stiamo iniziando a vedere i tipici sintomi della seconda generazione. Crescono i figli di coloro che hanno vissuto per primi il profondo cambiamento del paese. Ma in che ambiente stiamo facendo crescere questi ragazzi? Cosa offre Ugento agli adolescenti?

Cominciamo dallo sport, forse l’aspetto migliore che il nostro paese sta vivendo in questo momento storico. Le società sportive abbondano a Ugento, offrendo ai ragazzi la possibilità di scegliere tra diverse specialità. Purtroppo, non possiamo dire lo stesso degli impianti sportivi, con i campi da calcetto della zona 167 e di via Loreto che continuano a rimanere chiusi, anche a causa delle loro dimensioni non regolamentari e della loro scarsa utilità pratica. Anche il campo vicino al Victor, costato altri 120 mila euro alle casse pubbliche, ha dimensioni problematiche e farà probabilmente la fine degli altri due.

Il campetto di via Loreto, nonostante sia ufficialmente chiuso, è frequentato da un gruppo di adolescenti che disturberebbe la tranquillità dei residenti. Il campo rimane chiuso, e si adottano tutti i metodi possibili per dissuadere i ragazzi dall’utilizzarlo invece di cercare una soluzione al problema. Il messaggio trasmesso è devastante: “ANDATEVI A DROGARE, IL CAMPO È CHIUSO” (un po’ come il campo di Padel comunale, che continua a rimanere chiuso).

UGENTO-ALLORA-CI-DROGHIAMO

Passiamo poi al “sistema culturale” che, in questo paese, ha la strana caratteristica di essere finanziato interamente con fondi pubblici. Museo e Biblioteca faticano a rappresentare un polo di attrattività popolare. La biblioteca offre un servizio principalmente per i bambini, trasformandosi in una sorta di ludoteca, a vantaggio dei genitori votanti. Tuttavia, ancora una volta, gli adolescenti rimangono esclusi dagli eventi culturali.

I locali, le discoteche e i luoghi di aggregazione sono ormai un miraggio. Torre San Giovanni, dove l’unica novità attrattiva è rappresentata da un relitto che continua a rimanere incagliato sul lungomare, è frequentata solo 4 mesi l’anno e i ragazzi trascorrono le serate principalmente a Casarano, Ruffano e Gallipoli, dimostrando che c’è una categoria di giovani che desidera sfuggire alle quattro mura di questo paese. Dovremmo chiedere loro prima di tutto il motivo.

Non se la passano meglio i luoghi di aggregazione della nostra infanzia: Piazza Italia è diventata una sorta di pista di atterraggio per gli elicotteri e forse sarà per questo sempre deserta, piazza Immacolata continua a rimanere orfana del locale che l’ha sempre potuta far vivere la sera. Le poche realtà presenti sono dovute solo ed esclusivamente all’iniziativa privata, che a Ugento è sempre più appannaggio di pochi indiani coraggiosi (a cui dobbiamo davvero rispetto!).

Come possiamo quindi pretendere il rispetto dei luoghi da parte dei ragazzi quando il nostro paese si trova in condizioni molto peggiori? Come possiamo chiedere rispetto quando coloro che sono investiti di responsabilità pubbliche sono i primi a non dimostrarlo affatto? Non posso fare a meno di citare come al solito la teoria delle finestre rotte, accettata in tutto il mondo come origine di questi fenomeni. E sarebbe bastato girare la fotocamera per fare qualche scatto nei pressi di quell’arco imbrattato per accorgersi che è una zona che non brilla certo per il decoro urbano.

Non voglio che questo editoriale sia solo un freddo elenco di problemi, ma dobbiamo trovare soluzioni! Le soluzioni esistono e sono anche semplici, basta uscire di casa. Lancio quindi una provocazione: invece di cacciare questi “pericolosissimi criminali”, perché non offrirgli in gestione uno dei tanti immobili comunali abbandonati? Diamo loro l’opportunità di fare gruppo e di assumersi responsabilità. Concentriamoci su di loro anziché scaricarli addosso le nostre frustrazioni da falliti.

L’identità di “popolo” sconfigge il vandalismo della stupidità

L’identità di “popolo” sconfigge il vandalismo della stupidità

Un recente intervento dell’amico Angelo Minenna sul Quotidiano di Puglia a proposito dell’atto vandalico a danno del nostro patrimonio storico da parte di emeriti idioti, costituisce lo spunto per una riflessione sui tempi che stiamo vivendo e su quanto accaduto.  

Riprendendo il proprio passato da ultras dei Falchi Ugento e del Lecce, sottolinea che la sua generazione e quelle precedenti giammai avrebbero avuto la malsana idea di deturpare il proprio centro storico con delle scritte che inneggiano ai motti di una qualsivoglia curva calcistica o sportiva.  In effetti, così come la cultura patriarcale non c’entra nulla con il femminicidio, di cui tanto peraltro tanto si parla in questi giorni (osservo che in molti sembrano diventati “esperti”), allo stesso modo, da sociologo e da criminologo sostengo che lo sport ed il tifo organizzato non c’entrino nulla con questi gesti di vero attacco alla nostra bellezza ed alla nostra storia locale. Se si osserva il fenomeno da un profilo macrosociologico, seguendo l’insegnamento dei maestri Durkheim e Merton, l’origine di tali gesti è da rinvenirsi sostanzialmente in un cattivo funzionamento di quelli che sono i processi di socializzazione primaria. Significa cioè che gli autori non hanno interiorizzato “norme, regole, valore, ideali e prospettive” che sono condivise dalla stragrande maggioranza della società. Ed ecco quindi che il problema diventa prevalentemente culturale. Segnale di un fallimento, al pari di quanto accade in parte all’origine delle violenze di genere, delle agenzie sociali: famiglia e scuola in modo particolare. Tutti nasciamo in una famiglia e tutti andiamo a scuola (più o meno!). Viene difficile da pensare che alla scuola primaria o alle elementari un bambino possa imparare passo dopo passo il senso dello stare insieme nella comunità se la prima preoccupazione di un genitore è quella di evitare che non abbia il cellulare, magari l’ultimo modello, per non farlo sentire discriminato ed essere perciò da meno rispetto agli altri: “u figliu meu percè aie essere menu te l’addrhi? Perché questa è la verità. Non nascondiamoci dietro un dito. 

È difficile immaginare che venga educato al senso del rispetto non conoscendo mai, acquisendolo (ecco l’interiorizzazione!), il significato ed il valore di un no! Come adulti, come cittadini responsabili della crescita dei nuovi cittadini, non possiamo meravigliarci di taluni comportamenti. Veri e propri “atti devianti” sui quali occorre intervenire sistemicamente. Non posso sostenere di voler difendere la mia identità, la mia città, la mia storia, se nel mio percorso di crescita non sono stato messo nelle condizioni di interiorizzare il significato, il valore, l’importanza, il senso dell’appartenenza, la correttezza, il rispetto, la capacità di comprendere i limiti oltre i quali non posso andare, fermandomi all’autorevolezza dell’istituzione, che osservo non c’entra nulla con gli estremismi politici. Ovvio che intervengono latamente le procedure del controllo sociale: recupero, valorizzazione, arredo urbano, piano traffico, pulitura e restauro di vicoli, monumenti e facciate di case e palazzi. Con ancora, come ha evidenziato Minenna e su cui concordo pienamente, piani ad hoc per Borgo Antico e centro storico, videosorveglianza adeguata e soprattutto funzionante che consenta l’accertamento e la punizione di chi devia, prevedendo intanto la pulizia a proprie spese, un servizio gratuito per la collettività, ad esempio a favore degli anziani o dei diversamente abili, e corsi di storia locale (questa è la cittadinanza attiva!). Ma siamo ad un livello superiore. 

Al pari della loro camera da letto che non credo venga imbrattata ed imbruttita in quel modo, devono capire e imparare a prendersi cura del luogo in cui vivono e con cui vorrebbero identificarsi ed essere identificati. C’è altresì un ulteriore passo che va compiuto, più strettamente legato alle comunità locali. Prendere coscienza di essere ugentini/e e geminiani/e, perché così consentiremo a chi commette gesti idioti di diventare orgogliosamente figlio e figlia devoto/a della loro Città. Nella sua Fuga dalla libertà Erich Fromm prescrive una destrutturazione dalla forma di consumatori e soprattutto di condurre un’esistenza accanto agli altri non isolandoci sui social, come in città e ancor più nei piccoli paesi, che diventano sempre più anonimi. 

A Ugento arrivano le prime condanne per reati ambientali

in 5 a processo per reati ambientali a torre mozza

Nell’ambito di un processo che ha avuto inizio con la prima udienza davanti al giudice monocratico Luca Scuzzarella, cinque individui sono stati accusati di diversi reati ambientali tra cui deturpazione delle bellezze naturali e di discarica abusiva lungo il litorale di Ugento. Gli imputati rispondono congiuntamente alle medesime imputazioni, relative a fatti risalenti a febbraio 2022.

Secondo l’accusa mossa dalla Procura di Lecce, i cinque imputati avrebbero creato una discarica abusiva su un’area demaniale di 25 metri quadrati nel Comune di Ugento lungo la costa. La presunta attività illecita consisterebbe nel deposito di un notevole quantitativo di posidonia mista a sabbia, pari a 80 metri cubi. Tale materiale deriverebbe dalla disostruzione periodica delle foci del canale a mare di Torre Mozza e Torre San Giovanni.

La Procura sostiene che questo comportamento costituisce una deturpazione delle bellezze naturali del litorale di Ugento, un luogo sottoposto a una particolare tutela in quanto sito di area Sic. Le aree Sic sono riconosciute come strategiche per la conservazione di habitat di importanza europea, legati a specie animali o vegetali a rischio di estinzione.

Nel corso dell’udienza, il Tribunale in composizione monocratica ha accolto la richiesta di oblazione per il solo capo d’accusa di deturpazione di bellezze naturali nei confronti di Alfredo Borzillo. L’oblazione consente l’estinzione del reato mediante il pagamento di una somma concordata con l’accusa. Tuttavia, una richiesta di messa alla prova è stata respinta dal giudice, poiché il materiale incriminato è ancora presente sul luogo e non è stato rimosso, come prescritto.

il sito interessato dalla discarica prima della sua realizzazione.

Le difese degli imputati hanno sottolineato l’assenza delle autorizzazioni necessarie per la rimozione del materiale, impedendo al momento qualsiasi azione in tal senso. La prossima udienza è fissata per il 19 dicembre, durante la quale saranno esaminati gli imputati e i testimoni delle difese.

Gli avvocati Renata Minafra, Stefano De Francesco, Silvestro Lazzari, Michele e Giulia Bonsegna, Giordano Settembre e Rocco Vincenti difendono gli imputati. È importante notare che la vicenda è stata oggetto di numerose segnalazioni da parte della nostra testata giornalistica, che ha anche denunciato la costante ostruzione dei canali di bonifica, fonte di disagi per gli abitanti e di minaccia per la fauna protetta. Nonostante gli appelli di attivisti e associazioni locali al comune di Ugento, sembra che le preoccupazioni siano rimaste inevasi fino a questo momento.

Il video dello scorso anno proprio sull’argomento.

Si conclude il torneo di calcio balilla del bar La Boccia

si conclude il torneo di calcio balilla a ugento

L’atmosfera al Bar La Boccia di Ugento è ancora carica di emozioni dopo la conclusione del torneo di calcio balilla che si è tenuto ieri sera. La competizione, che ha catturato l’attenzione degli appassionati locali, ha raggiunto il suo apice con la vittoria della coppia Urso Roberto e Luis Mauramati.

Il torneo ha offerto un mix di emozioni, suspense e abilità, con le squadre che si sono sfidate senza esclusione di colpi per conquistare il prestigioso titolo di campioni del Bar La Boccia. Dopo intense sfide nei giorni precedenti, la coppia Urso Roberto e Luis Mauramati ha dimostrato di essere la più forte.

Lunedì è stato il giorno degli scontri nei quarti di finale e nelle semifinali, con le squadre che hanno dato il massimo per ottenere il pass per la finalissima. La tensione era palpabile, ma Urso Roberto e Luis Mauramati sono emersi con abilità e determinazione, assicurandosi un posto nella partita decisiva.

Oltre al riconoscimento come campioni, Urso Roberto e Luis Mauramati hanno avuto l’onore di ricevere un premio di tutto rispetto. Una selezione di bottiglie prelibate e accessori per il mondo del buon bere è stata consegnata loro in segno di celebrazione della loro vittoria.

Il primo premio includeva 3 bottiglie di vino Donna Marzia, 6 calici da 67 cl e un decanter da 1 lt, un vero tesoro per il palato. La coppia ha festeggiato il successo con il gusto raffinato di questi premi, rendendo la loro vittoria ancora più memorabile.

Il Bar La Boccia si è trasformato in un palcoscenico di trionfo, e il pubblico entusiasta ha applaudito la coppia vincitrice. Il torneo di calcio balilla non è stato solo una competizione sportiva, ma un momento di condivisione, divertimento e celebrazione della passione per il gioco.

Urso Roberto e Luis Mauramati hanno dimostrato che il calcio balilla è molto più di un semplice gioco da bar: è un’arte che richiede abilità, strategia e, soprattutto, una buona dose di spirito competitivo. Che questa vittoria sia solo l’inizio di nuove sfide e di ulteriori momenti indimenticabili al Bar La Boccia di Ugento.

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