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La speranza viaggia sull’acqua

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nave fantasma ugento
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Appena ho notato questa bellissima foto scattata da un nostro concittadino, ho cercato di immedesimarmi per qualche attimo sulle tante persone che possono essere state a bordo di quel peschereccio, che l’abbiano usato per uno specifico scopo e che ora si trova spiaggiato sulle nostre coste. Già! Proprio sulla nostra costa rocciosa di T. re San Giovanni. Mi sono venuti in mente mille pensieri. Ho provato anche tante emozioni differenti e mi sono posto molte domande. Che cosa spinge una persona a lasciare la propria terra, con il rischio di perdersi per sempre in mare? Qual’ è la ragione per la quale riesce a trovare un coraggio così forte per affrontare un viaggio estenuante, emotivamente, psicologicamente e fisicamente lancinante? Che cosa passa per la testa dei tanti migranti che arrivano in Italia? Quali possono essere le emozioni provate da questi esseri umani nel corso di lunghi viaggi, così angosciosi e pericolosi?

Mi è quindi venuto in mente una grande opera del romanticismo inglese di Samuel Taylor Coleridge, che nel 1798 scrisse “La Ballata del vecchio marinaio”. In quest’opera narra le vicende di un marinaio, vittima di un funesto maleficio dovuto all’uccisione immotivata di un uccello (albatro). Ricorrendo ad una metafora, il poeta inglese riesce a parlare di colpa, redenzione e sofferenza.

Ed è proprio sulla colpa e sulla sofferenza che vorrei esternare qualche riflessione in più. 

Per ragioni professionali mi è capitato spesso di sentire sul canale radio delle emergenze in mare richieste come queste: “aiutateci; stiamo per cadere in acqua; non ce la facciamo più; alcuni sono già morti, fate presto!”. Dal tono e dalla voce con cui venivano pronunciate sono riuscito a percepire soltanto quella sofferenza che è possibile comprendere solo vivendola sulla propria “carne viva”. Tutto poi diventa più chiaro nel momento in cui chi galleggia speranzoso sull’acqua per molto tempo ti chiede la cosa più semplice della Terra: “water please, water!” (acqua perfavore, acqua!). Li capisci che la colpa è dell’essere umano che sempre più si chiude nell’indifferenza della globalizzazione dei tempi che stiamo vivendo, dove il problema dell’immigrazione si limiterebbe ad una diatriba tra chi sostiene l’accoglienza e chi sostiene il respingimento. Esistono sacrosanti diritti quali quello alla vita, alla libertà, all’essere aiutato, etc.. Ma credo che il diritto più importante, che si eleva su tutti, sia il diritto ad essere “essere umano”. 

Ecco che ho cercato di ragionare su quali possano essere le soluzioni ad un problema che, tra l’altro, è causa di altri sotto – problemi, sui quali occorrerebbe discettare seriamente ed in sedi più opportune. Una soluzione è quella di “aiutarli in caso loro”? Un’altra potrebbe essere quella di impedire a queste vite galleggianti di entrare in stati che pure hanno il diritto di tutelare i propri interessi in termini soprattutto di salute e di sicurezza dei propri cittadini? Od un’altra ancora potrebbe essere quella di una governance europea che “decida ed intervenga” con la previsione di idonei strumenti per consentire sia di reprimere il fenomeno criminale, che pure esiste e non va sottaciuto, della tratta degli essere umani, sia soprattutto di garantire secondo “legge” soccorso e assistenza a chi ne ha bisogno? Senza tuttavia lasciare sole quelle Autorità che pure operano con dedizione, impegno, senso civico ed umana solidarietà?

Non sono sopportabili gli starnazzi di ogni responsabile politico presente nelle arene televisive. Si lanciano i sassi dell’incompetenza per raccattare consensi. Per riportare le questioni a divisioni e a scelte di campo ormai fuori tempo massimo, prive di coerenza, competenza ed onestà intellettuale. Si assiste a continue forme di demonizzazione e strumentalizzazione che spostano l’attenzione al fine di far sedere il cittadino su questa o quella posizione, non consentendogli di comprendere la sostanze dei problemi. Non dimenticando quel populismo che è sfruttato per cogliere opportunisticamente ciò che esce della “pancia” del cittadino. 

Sofferenza e colpa sono facce di una stessa medaglia. Una medaglia in cui l’essere umano è stato relegato a pura e semplice merce di scambio. Un numero da conteggiare o cancellare, da tenere sempre e comunque sotto forme apparentemente democratiche di sorveglianza, manovrate dal mainstream mediatico per rispondere alle mode della contingenza.    

A bordo di quel peschereccio, con i segni del tempo, dell’uomo e della natura si siano sentite come il marinaio nella ballata di Coleridge. Penso che tutti volevano, perché ne hanno il pieno diritto, di ricercare quell’unica verità che deriva dal potere dell’immaginazione. Immaginare un futuro diverso in cui non ci siano uomini che fanno del male ad altri uomini.

L’occasione del Santo Natale è certamente motivo di ulteriore riflessione. Lo è per il mondo e lo è per la nostra Ugento, che, lo voglio ancora ribadire, merita molto di più. Merita di sognare, di costruire, di progettare con serenità ed entusiasmo il proprio futuro. Merita di sfuggire da quella cappa che la opprime ormai da un ventennio a questa parte. Lo si può constatare quando si punta lo sguardo pretestuoso verso chi fa qualcosa, come lo fa e con chi lo fa, curandosi di un scegliere un perché più strumentale che obiettivo. 

Ugento merita di immaginare che la verità non stia mai da una parte, ma proprio in mezzo tra chi dice di amarla, ma in realtà la ridicolizza ogni giorno con scelte e decisioni, anche politiche, che riempiono gli occhi, ma non nutrono le coscienze.

Quel peschereccio è certamente un simbolo da cui ogni cittadino può trarre i significati od il senso che ritiene più giusto ed opportuno. Deve rimanere impressa la capacità di immaginazione che tutti abbiamo, ma non utilizziamo perché vincolati alla tecnologia che se sterile non può emozionare. Motivo per cui credo possa essere utilizzato come momento di memoria. Nel rispetto di chi come  gli occhi sorridenti di Salim, un bambino di 10 anni, che guardava verso l’immenso orizzonte, sognando una vita nuova, piena di quella gioia e quella serenità che tutti i bambini del mondo hanno il diritto di avere. Ma anche nel rispetto di ogni cittadino, di ognuno di noi, perché in fondo siamo vite che galleggiano su un mare prezioso che dobbiamo ripensare in uno sviluppo diverso. Per vivere meglio come essere umani e per mantenere ciò che abbiamo semplicemente preso in prestito da altri prima di noi.

Questo peschereccio incagliatosi sulle nostre coste sembra rappresentare un arrivo senza tempo, ma in realtà, sia che saliamo a bordo, sia che lo osserviamo seduti sugli scogli, è una nuova possibilità per un nuovo inizio. Simboleggia paradossalmente la sintesi di ciò che noi ugentini siamo e potremmo essere in un futuro tutto da scoprire e costruire. Anche con il potere dell’immaginazione. 

Buon Natale Ugento mia!

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