Editoriali
Il rito della salsa nei ricordi di un bambino

Appare talvolta fascinoso compiere un percorso temporale all’incontrario. Nel senso di partire dal presente per arrivare con la mente, con gli occhi e con il cuore a momenti del passato che sembrano fissati nella memoria come le colonne di un tempio sacro millenario, reso indistruttibile dalla sua maestosità simbolica e architettonica. Ancora una volta, la sociologia classica ci viene in aiuto, permettendoci di osservare, seduti su una sedia del tutto particolare. Ponendoci domande che non avremmo mai pensato di porci e che evidentemente regalano l’opportunità di riflettere sul presente per seminare qualcosa in un futuro che è e sarà sempre per tutti, tutto da scoprire.
Per caso, come spesso mi capita durante il periodo estivo, nel mentre mi recavo a lavoro, mi accorgevo che in attesa ad un semaforo vi era un’ape con a bordo alcune casse piene di pomodori. Mi avvedevo subito trattarsi dei “San Marzano”. Proprio quelli che il nonno materno coltivava annualmente per la salsa. Lo ricordo con nostalgia quando orgogliosamente diceva: “aggiu chiantati i pummitori pe la salsa”.
Un grande maestro della sociologia come Emile Durkheim ci spiega che le “tradizioni” sono strettamente legate al concetto di cose sacre e di rituali, essenziali per la coesione sociale, cioè la capacità di una società di assicurare il benessere della collettività, basandosi su relazioni sociali solide, senso di appartenenza condiviso, qualità dei legami tra le persone, solidarietà e capacità di affrontare insieme sfide e difficoltà. E la coscienza collettiva, che è l’insieme delle credenze, dei sentimenti e dei valori condivisi dai membri di una società, che trascende le singole coscienze individuali e fornisce un quadro di riferimento per l’azione sociale. Le tradizioni riassumono le credenze e le pratiche riguardanti oggetti ed eventi sacri, che servono a rafforzare i legami sociali e a mantenere l’ordine sociale. La preparazione della salsa di pomodoro è una delle poche tradizioni che resiste nel tempo, che sembra non cadere in quel dimenticatoio, ove stiamo tendenzialmente riversando ogni senso di comunità, schiacciandolo con il ricorso smisurato alle tecnologie digitali che occupano completamente le nostre vite. La salsa è e rimane un rito perché ad esso connetto la memoria ed il ricordo mi riporta agli anni della minore età. Ricordo che in quegli anni le spremi pomodoro elettriche non esistevano. La spremitura dei pomodori bolliti con cipolla, basilico e sale, avveniva a mano con una macchinetta, mossa dalla mano a ritmo di tac tac. Ovviamente era il nonno a svolgere le mansioni più pesanti e pericolose: spremitura, movimentazione dei pomodori, tappatura delle bottiglie bollenti di salsa che venivano poi sistemate a strati all’interno di grandi cassoni artigianali. Io non lo mollavo un attimo. Per bollire i pomodori inventò una sorta di fornace alimentata con segatura di legno molto fine. Una volta accesa, la fiamma si autoalimentava ed i pomodori venivano bolliti in un non nulla. La cottura finale delle bottiglie avveniva con la tecnica “a bagnomaria” all’interno di enormi cassoni pieni d’acqua. Siccome il nonno era di un’intelligenza sopraffina, pur non avendo “e scole tise” li realizzò da solo tagliando simmetricamente un bidone/fusto di metallo per uso industriale. La salsa dell’estate era un appuntamento fisso a cui ancora oggi nessuno può sottrarsi. Un rito antico che nonostante le varie proposte commerciali, ancora si ripete, anno dopo anno, in tante famiglie.
Le bottiglie che dai cassoni venivano tolte per essere sistemate nelle cassette di plastica costituivano la scorta per l’inverno, per sfamare tutti. Era bello l’inizio di questo magico rituale: la catena di montaggio umana cominciava all’alba, “cu lu friscu”, diceva il nonno. Ogni partecipante aveva un compito ben preciso e non vi erano ostacoli che impedissero di vivere un clima familiare straordinario, che forse dovremmo riscoprire. Rimanevo abbagliato dalle sfumature di rosso dei pomodori che venivano “squicciati” (schiacchiati) e scelti per scartare quelli acerbi o “tuccati” (marci). Ai miei occhi di bambino era tutto un divertimento. Un momento per rispolverare gli aneddoti, per chiacchierare e spettegolare mentre dai pentoloni si sprigionava un profumo inconfondibile di sugo. Quella salsa non c’è più! Non ci sono più i nonni che tuttavia vivono nei ricordi di quel bambino a cui piaceva di anno in anno aspettare il loro arrivo a bordo di un’ape gialla 500, il cui festeggiante frastuono si sentiva da chilometri.