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Editoriali

L’identità di “popolo” sconfigge il vandalismo della stupidità

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L’identità di “popolo” sconfigge il vandalismo della stupidità
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Un recente intervento dell’amico Angelo Minenna sul Quotidiano di Puglia a proposito dell’atto vandalico a danno del nostro patrimonio storico da parte di emeriti idioti, costituisce lo spunto per una riflessione sui tempi che stiamo vivendo e su quanto accaduto.  

Riprendendo il proprio passato da ultras dei Falchi Ugento e del Lecce, sottolinea che la sua generazione e quelle precedenti giammai avrebbero avuto la malsana idea di deturpare il proprio centro storico con delle scritte che inneggiano ai motti di una qualsivoglia curva calcistica o sportiva.  In effetti, così come la cultura patriarcale non c’entra nulla con il femminicidio, di cui tanto peraltro tanto si parla in questi giorni (osservo che in molti sembrano diventati “esperti”), allo stesso modo, da sociologo e da criminologo sostengo che lo sport ed il tifo organizzato non c’entrino nulla con questi gesti di vero attacco alla nostra bellezza ed alla nostra storia locale. Se si osserva il fenomeno da un profilo macrosociologico, seguendo l’insegnamento dei maestri Durkheim e Merton, l’origine di tali gesti è da rinvenirsi sostanzialmente in un cattivo funzionamento di quelli che sono i processi di socializzazione primaria. Significa cioè che gli autori non hanno interiorizzato “norme, regole, valore, ideali e prospettive” che sono condivise dalla stragrande maggioranza della società. Ed ecco quindi che il problema diventa prevalentemente culturale. Segnale di un fallimento, al pari di quanto accade in parte all’origine delle violenze di genere, delle agenzie sociali: famiglia e scuola in modo particolare. Tutti nasciamo in una famiglia e tutti andiamo a scuola (più o meno!). Viene difficile da pensare che alla scuola primaria o alle elementari un bambino possa imparare passo dopo passo il senso dello stare insieme nella comunità se la prima preoccupazione di un genitore è quella di evitare che non abbia il cellulare, magari l’ultimo modello, per non farlo sentire discriminato ed essere perciò da meno rispetto agli altri: “u figliu meu percè aie essere menu te l’addrhi? Perché questa è la verità. Non nascondiamoci dietro un dito. 

È difficile immaginare che venga educato al senso del rispetto non conoscendo mai, acquisendolo (ecco l’interiorizzazione!), il significato ed il valore di un no! Come adulti, come cittadini responsabili della crescita dei nuovi cittadini, non possiamo meravigliarci di taluni comportamenti. Veri e propri “atti devianti” sui quali occorre intervenire sistemicamente. Non posso sostenere di voler difendere la mia identità, la mia città, la mia storia, se nel mio percorso di crescita non sono stato messo nelle condizioni di interiorizzare il significato, il valore, l’importanza, il senso dell’appartenenza, la correttezza, il rispetto, la capacità di comprendere i limiti oltre i quali non posso andare, fermandomi all’autorevolezza dell’istituzione, che osservo non c’entra nulla con gli estremismi politici. Ovvio che intervengono latamente le procedure del controllo sociale: recupero, valorizzazione, arredo urbano, piano traffico, pulitura e restauro di vicoli, monumenti e facciate di case e palazzi. Con ancora, come ha evidenziato Minenna e su cui concordo pienamente, piani ad hoc per Borgo Antico e centro storico, videosorveglianza adeguata e soprattutto funzionante che consenta l’accertamento e la punizione di chi devia, prevedendo intanto la pulizia a proprie spese, un servizio gratuito per la collettività, ad esempio a favore degli anziani o dei diversamente abili, e corsi di storia locale (questa è la cittadinanza attiva!). Ma siamo ad un livello superiore. 

Al pari della loro camera da letto che non credo venga imbrattata ed imbruttita in quel modo, devono capire e imparare a prendersi cura del luogo in cui vivono e con cui vorrebbero identificarsi ed essere identificati. C’è altresì un ulteriore passo che va compiuto, più strettamente legato alle comunità locali. Prendere coscienza di essere ugentini/e e geminiani/e, perché così consentiremo a chi commette gesti idioti di diventare orgogliosamente figlio e figlia devoto/a della loro Città. Nella sua Fuga dalla libertà Erich Fromm prescrive una destrutturazione dalla forma di consumatori e soprattutto di condurre un’esistenza accanto agli altri non isolandoci sui social, come in città e ancor più nei piccoli paesi, che diventano sempre più anonimi. 

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